E’ un mese che è morto Abba. Lettera per non dimenticare

E’ trascorso un mese dalla morte di Abdul Guiebre, chiamato familiarmente Abba anche da noi della Rete G2. Abbiamo partecipato insieme alla manifestazione di Milano del 20 settembre per gridare che Abba non doveva morire, abbiamo lanciato collettivamente, decidendolo insieme, il gesto di lasciare pacchi di biscotti davanti al negozio dei responsabili della morte di un giovane italiano “che sembra straniero/estraneo”, perché nessuno deve morire per una manciata di dolci, tantomeno un figlio di questo Paese, qui cresciuto. Pubblichiamo a seguire una lettera di Gioia, membro della Rete G2, una lettera che ha toccato nel profondo molti, scritta all’indomani della morte di Abba e che abbiamo consegnato ai familiari e lasciato sul luogo dove è morto un ragazzo che doveva avere tutto un futuro davanti.

Per non dimenticare.

Dal Forum G2:

Abdul uno di noi
Non riesco a fermare le lacrime. I sentimenti sono tanti e confusi, ma due sovrastano gli altri: rabbia e paura.
Il mio più grande timore si realizza: si è persa la vergogna del razzismo e della violenza, la caccia al diverso è aperta.
Ieri mattina Abdul faceva ciò che spesso mi capita di fare dopo una notte in giro con gli amici a ballare, parlare, girare, perdersi: fare colazione.
Da quando il governo è cambiato ho sempre più spesso quella pesante sensazione, quella di essere guardata a vista, additata, mi si piegano le gambe a passare davanti a gruppi di italiani appostati davanti al bar, nella metropolitanta, sull’autobus.
Io Gioia, cittadina italiana, ho paura degli altri cittadini italiani, quelli non così colorati come me.
Da oggi però basta ipocrisie, che sia chiaro a tutti: per essere veri cittadini italiani di prima classe, bisogna avere la pelle bianca, o almeno non troppo colorata.
Quello che più mi addolora in tutto questo è che in questa Italia bigotta e razzista senza vergogna o pudore, noi italiani dalla pelle colorata siamo sempre figli degli altri.
Abdul è rimasto indefinitamente un quasi senza patria in tutti i principali tg nazionali: tutti i conduttori, gli scrittori, tutti avevano quell’imbarazzo nel definirlo. È così difficile dire Abdul cittadino italiano? Sembra di sì.
Capisco la foga di voler specificare il colore della pelle per sottolineare lo stampo razzista dell’aggressione, ma non si è trattato di quello.
È che risulta difficile per la classe politica, per la coscienza sociale, per i media e per la maggioranza dei cittadini italiani accettare che l’Italia cambi e si colori.
Agli italiani piace l’immobilismo, hanno troppa paura di ciò che cambia, di dover conoscere cose nuove.
A tutti coloro che hanno avuto il coraggio di pensare che però in fin dei conti forse Abdul aveva rubato dei biscotti, a tutti coloro che alla fine dei conti però questi immigrati, a tutta quella gente io allora dico che gli italiani non sono brava gente, al punto da ammazzare un proprio concittadino perché ha la pelle nera.
Infatti non sono gli italiani a essere brava gente, sono gli stranieri ad essere brava gente, a sopportare questo popolo piccolo, arrogante e ignorante, che ha sempre paura di guardarsi addosso, che ha sempre paura di ammettere di essere razzista. Mi scuso io per tutto il mio popolo.
Ma so che non basta e non riesco a contenere la vergogna di questa cittadinanza. Ma che importa, tanto la mia vale meno.
Io non ho gli stessi diritti degli altri. Io devo andare in giro a testa bassa. Io devo stare attenta a ciò che faccio. Io non dovrei andare a cercare lavoro. Io non dovrei avere comportamenti ambigui. Io non devo dimenticarmi a casa i documenti. Io non posso cercare una casa.
Abdul è morto, ucciso da un padre che in lui non ha visto un figlio, da un figlio che in lui non ha visto un fratello.
Abdul, l’italiano, è morto da straniero.

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“Quando quella che senti casa tua è piena di porte chiuse da miliardi di lucchetti
e tu non hai le chiavi, come si fa?
E’ sempre casa tua o dovresti a questo punto cambiare casa?
Let me stay home”
Rete G2