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Autore Messaggio
MessaggioInviato: 17 ott 2007, 14:08 
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Iscritto il: 14 lug 2006, 20:30
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A parte chiamare i figli di immigrati "alunni immigrati" (e continuiamo a dire: come può essere un 'immigrato volontario' un bambino, soprattutto se nato in Italia?) cosa che la rete G2 trova sbagliato è interessante il semplice e breve punto scritto dal direttore della Fondazione Giovanni Agnelli. A seguire un articolo che parla del baby boom a Torino grazie alle mamme immigrate.


In fuga dalla scuola
Di Marco De Marie *
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Che i genitori abbiano a cuore la qualità dell’insegnamento impartito ai propri figli è salutare. Che questa cura si manifesti nella diffidenza per classi e scuole con un’alta presenza immigrata è invece un dato preoccupante, specie se si trasforma in una fuga. Gli allievi immigrati sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso d’una scuola sotto stress. Sarebbe sbagliato ignorare le difficoltà che essa pone alla vita scolastica e all’efficacia dell’insegnamento, che vanno affrontate senza ritardi per evitare di rincorrere emergenze e malumori.

La presenza di figli d’immigrati nella nostra scuola sta per ampliarsi. Tra sei anni le prime elementari nelle grandi città avranno tra un quarto e un terzo di allievi stranieri. Sono le seconde generazioni, i bambini d’origine immigrata nati in Italia, cui vanno aggiunti quelli che arrivano con le famiglie o per ricongiungimento. Il problema della lingua italiana riguarda principalmente i ragazzi stranieri nati e scolarizzati all’estero, non le seconde generazioni.

Serve un piano straordinario per attivare in questa fase corsi d’italiano, dentro gli edifici scolastici, fuori dalle ore curriculari. Poniamo fine alla pratica distruttiva di collocare ragazzi e ragazze non pienamente italofoni in classi inferiori rispetto alla loro età. Sappiamo che il ministero stenta ad assegnare alle scuole i budget necessari. Gli enti locali fanno ciò che possono. La diffidenza delle famiglie nasce anche dal constatare che raramente le risorse sono adeguate a sostenere le buone intenzioni politiche.

Mobilitiamo allora tutte le energie possibili, anche extrascolastiche. Un aiuto importante può venire dal volontariato e dal terzo settore: in parte già avviene. Le fondazioni bancarie e la nuova Fondazione per il Sud possono essere partner di esperimenti pilota per sostenere le esperienze migliori. Il problema è la disciplina? Vero, ma è dubbio che dipenda principalmente dalla presenza di stranieri. Al contrario, talvolta i ragazzi stranieri e le loro famiglie considerano la scuola italiana lassista.

C’è un diffuso smarrimento dell’idea di disciplina come valore educativo. Un evidente limite di cultura civica in Italia si manifesta nei comportamenti dei ragazzi, nel deficit d’autorevolezza dei docenti, nell’atteggiamento di molti genitori, pronti a mobilitarsi contro ogni provvedimento di censura. Il problema sono i contenuti dell’insegnamento? La scuola italiana ha certo limiti negli insegnamenti di base: nelle materie scientifiche e nelle lingue straniere si tratta di veri deficit. Ma qui gli stranieri non c’entrano, anzi a volte sono loro a chiedere programmi più impegnativi.

Il punto è dunque migliorare la qualità della scuola italiana. Solo così anche la grande goccia immigrata vi troverà posto. Qualche segnale nelle ultime settimane è giunto: il Quaderno Bianco dei ministeri dell’Istruzione e dell’Economia è un passo importante; il ministro Fioroni ha assunto impegni per maggiori risorse. Gli alunni immigrati non sono una minaccia, in maggioranza vogliono la scuola, forse più di molti ragazzi italiani. Attenzione, però: la scuola dev’essere luogo di educazione umana, culturale, civica, fornitrice di metodo e competenze effettive. Non un’agenzia di servizi multiculturali. Le pratiche interculturali devono essere un mezzo, non un fine, per la formazione ampia della persona. Ci sono la società e il mondo del lavoro là fuori, verso i quali la scuola deve accompagnare giovani preparati e responsabili. Evitare separatezze culturali e etniche sarà meglio per tutti.
*direttore della Fondazione Giovanni Agnelli

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Stranieri è baby boom
La crescita maggiore è per le romene e le marocchine

La Repubblica
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Torino, 10 ottobre 2007 - I numeri vengono da un documentato studio della Fondazione Agnelli che, incrociando i dati dell´anagrafe con quelli raccolti dai servizi sanitari, ha fotografato una situazione in cui è evidente lo sguardo fiducioso al futuro delle straniere. Le quali scelgono consapevolmente di essere madri dopo anni di difficoltà nel loro Paese prima della migrazione e altri di assestamento al loro arrivo in Italia. Anni passati a cercare un lavoro, far arrivare i bambini nel nostro Paese, ottenere il permesso di soggiorno. Trascorso questo momento di precarietà, il desiderio di maternità, fino ad allora represso, può essere soddisfatto, spiega il dirigente di ricerca della Fondazione Agnelli Stefano Molina. La crescita maggiore riguarda le romene. Il loro tasso di fecondità in tre anni è cresciuto di un punto percentuale netto, un figlio in più per ciascuna donna: era 1,22 nel 2003, è stato di 2,07 nel 2005. Leggermente in calo invece il tasso di fecondità delle marocchine, che però avevano avuto più figli l´anno precedente: 2,89 nel 2003, 3,71 nel 2004, 3,37 nel 2005. La ragione del leggero calo può essere la data di arrivo a Torino della comunità marocchina, precedente di quasi un decennio rispetto a quello della romena: con il tempo, come è ormai chiaro dagli studi recenti sul fenomeno, le donne immigrate tendono lentamente ad assumere i comportamenti delle italiane.
La tendenza torinese conferma quella nazionale, registrata pochi giorni fa da un´indagine Istat: in dieci anni, il tasso di fecondità italiano è passato da 1,19 del 1995 a 1,32 del 2005. Anche i dati nazionali, dunque, aggiunge Molina, confermano l´altro dato importante: le immigrate scelgono la maternità in Italia più di quanto farebbero nel Paese d´origine. Le donne in Marocco hanno 2,86 figli ciascuna, in Italia 4,19: «Un dato che ci conferma la sensazione di generale benessere che provano qui. Parliamo ovviamente di donne diplomate o laureate, con più mezzi. Sono loro che fanno una scelta di maternità consapevole». Se problemi sorgono, racconta il dirigente di ricerca della Fondazione Agnelli, questi possono derivare dal modello di «integrazione subalterna» che porta gli immigrati a svolgere lavori rifiutati o accettati malvolentieri dagli italiani, i cosiddetti «lavori delle 5 P»: pesanti, precari, poco pagati, penalizzati socialmente e pericolosi. Perciò la donna immigrata si può trovare spesso in condizioni lavorative difficili, con orari che mal si conciliano con una normale vita familiare; e questo, col tempo, può causare danni a un percorso positivo di crescita per le seconde generazioni, che dovrebbero invece essere un´importante risorsa per la città.


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