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Un milione di italiani senza cittadinanza

Gli immigrati di seconda generazione chiedono un trattamento più equo. A cominciare dal diritto di voto. Il 7,2% della popolazione italiana è costituito da stranieri. Una media che ci avvicina a paesi ad alta intensità migratoria come la Francia
di Chiara Cristilli


L'ultimo dossier statistico di "Caritas Migrantes" stima intorno ai cinque milioni il numero di immigrati che risiedono regolarmente in Italia. Di questi, circa 900 mila sono minori. 560 mila sono i nati nel nostro paese da genitori stranieri. Se si aggiungono anche coloro che sono arrivati in Italia da piccoli, si supera il milione di presenze. Parliamo delle seconde generazioni: sono giovani, italiani in tutto e per tutto, tranne che per il diritto alla cittadinanza.

La legge che ne disciplina l'acquisizione è la n. 91 del 1992. Il testo prevede che i nati in Italia possano ottenere la cittadinanza al compimento dei 18 anni se ne fanno richiesta entro un anno, dimostrando altresì di aver risieduto legalmente e ininterrottamente nel nostro territorio. Se dunque la famiglia ha sospeso temporaneamente il proprio soggiorno, se il minore non è stato immediatamente registrato all'anagrafe del Comune di residenza al momento della nascita, o nel caso in cui i genitori non siano in regola con i documenti, l'ottenimento di tale diritto rischia di diventare una chimera.

Il minore può acquistare la cittadinanza contestualmente a entrambi i genitori o a uno di essi, per filiazione, se è presente il requisito della convivenza. Non sono rari i casi in cui ciò che la legge dichiara si presta, nella prassi, a interpretazioni contrastanti. È quanto accaduto di recente a Cavallasca, in provincia di Como, dove un cittadino italiano di origine africana è stato costretto ad agire per vie giudiziali, affinché la cittadinanza fosse riconosciuta anche ai figli minori. La vicenda è stata seguita in tutte le sue fasi dal Responsabile del Clas (Coordinamento dei lavoratori stranieri) della Cgil di Como, Ardjan Paçrami, che ne ha evidenziato i passaggi più significativi. Durante il percorso di naturalizzazione l'uomo si stava separando dalla moglie, e i figli erano in affidamento condiviso tra i due. Per questo l'Ufficio Anagrafe aveva ritenuto che non fosse possibile riconoscere la cittadinanza ai minori, mancando il requisito della convivenza con il padre.

Rivoltisi al Tribunale di Como, i ricorrenti hanno vinto la causa. Non solo perché i minori trascorrevano equamente il tempo con entrambi i genitori, ma soprattutto in base a un concetto di convivenza che non è da intendersi come mera coabitazione, ma come condivisione della vita. Sebbene il Tribunale si sia pronunciato a favore della cittadinanza per i minori, resta un'amarezza di fondo. Quella per una vicenda che avrebbe potuto risolversi molto più semplicemente, se ci fosse stata la volontà di rimuovere gli ostacoli che si frapponevano al pieno godimento di un diritto spettante per legge. "La mancanza di un'applicazione omogenea della normativa – commenta Lucia Cassina, segretaria della Cgil di Como – lascia spazio alla discriminazione. In mancanza di certezze, questioni importanti dipendono dalla sensibilità di funzionari che non sempre cercano la migliore interpretazione della legge".

Una legge che andrebbe in ogni caso riformata, per adeguarsi agli stimoli che hanno portato la società italiana ad assumere una fisionomia nuova. Lo scorso anno una proposta bipartisan era stata presentata alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dai deputati Andrea Sarubbi e Fabio Granata. Si chiedeva, in sintesi, di abbreviare i tempi necessari per la naturalizzazione e di superare il principio dello ius sanguinis, in base al quale la cittadinanza si trasmette da padre in figlio. Nello ius soli, secondo cui è cittadino originario chi nasce nel territorio dello Stato, veniva individuato, introducendo alcune condizioni, il mezzo per rendere effettivo l'esercizio della cittadinanza da parte delle seconde generazioni.

La proposta non fu accolta, e fu invece appoggiata la cosiddetta "Bertolini", un disegno di legge considerato addirittura peggiorativo rispetto alla normativa vigente. Il testo inserisce una serie di condizioni che devono essere soddisfatte affinché la cittadinanza possa essere attribuita. Requisiti molto restrittivi riguardanti l'età, il reddito, la conoscenza della storia e della lingua italiana, per come vengono posti rappresentano più degli ostacoli che delle opportunità di accesso alla vita sociale del paese. "Tutti concordano sul fatto che si debba lavorare per una riforma seria – denuncia Pietro Soldini, Responsabile dell'Area Immigrazione della Cgil nazionale –, ma i buoni propositi non vengono supportati né da programmi, né da risorse. I problemi dell'immigrazione e delle seconde generazioni – aggiunge Soldini – sono legati a una regressione che riguarda anche la scuola, il welfare, tutte le sfere della vita sociale e civile".

Il Consiglio dei Ministri ha approvato un "Piano per l'integrazione nella sicurezza. Identità e incontro", che stabilisce la linea governativa in materia di politiche sull'immigrazione. Il testo propone parità di trattamento, apertura nei confronti delle seconde generazioni. Sappiamo, però che queste intenzioni vengono contraddette nella realtà di tutti i giorni, quando lasciano il posto agli effetti del Pacchetto Sicurezza e alle carenze sulla gestione dei flussi e della regolarizzazione.

Secondo i calcoli dell'Istat circa il 7,2 per cento della popolazione italiana è costituita da stranieri. Una media elevata, che ci avvicina a paesi ad alta intensità migratoria come la Francia. Se però si analizzano meglio le statistiche, si nota che il 23 per cento della popolazione francese è composta da stranieri naturalizzati, mentre in Italia chi è straniero ha molte più probabilità di rimanere tale. E i figli degli immigrati? In mancanza di prospettive certe, si sono organizzati e hanno costituito una "Rete G2-Seconde Generazioni", attiva a livello nazionale attraverso lo strumento della partecipazione diretta. La Rete ha come obiettivo la riforma della legge sulla cittadinanza, e lavora per sensibilizzare la società, affinché gli italiani di origine straniera siano considerati al pari di tutti gli altri. L'organizzazione partecipa a importanti incontri istituzionali, a livello locale e nazionale. Il parere manifestato sull'attuale dibattito politico e culturale non è dei più entusiasti.

Forti sono le critiche nei confronti della "Bertolini", che sul sito della Rete viene definita "un autentico schiaffo per noi e per chi auspicava un cambiamento di rotta rispetto alla legge 91 del 1992". C'è chi questa trasformazione la sta attuando. Nonostante i problemi da cui è vessata, la Grecia si è dotata di una nuova legge sulla cittadinanza che è considerata tra le più innovative. I tempi per la naturalizzazione vengono notevolmente ridotti. I figli di immigrati nati in Grecia acquisiranno la cittadinanza se i genitori risiedono legalmente da almeno 5 anni nel territorio, e non più 10. Per chi nasce all'estero, si richiede la frequentazione di un ciclo di studi di almeno sei anni, per poter diventare cittadino greco a tutti gli effetti.



da:http://www.rassegna.it/articoli/2010/12/20/69799/un-milione-di-italiani-senza-cittadinanza


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