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MessaggioInviato: 17 feb 2010, 17:58 
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Ma una politica non inclusiva
provoca rifiuto nell'escluso

di Tonia Garofano

Fedoua ha scuri e grandi occhi di Cleopa¬tra, neri capelli lunghi, labbra ben definite. Potrebbe sembrare un’italiana autoctona, ma è di origine marocchina, giunta in Italia all’età di 9 anni con i suoi genitori. Oggi vive a Roma e studia: le piace studiare, ha una laurea in studi orientali e sta per prenderne un’altra in scienze politiche, ma non può partecipare all’Erasmus né a un concorso pubblico: «Non sono praticante, non porto neanche il velo, non trovo nessuna grande difficoltà nella mia quotidianità. L'unico ostacolo è la cittadinanza: ogni anno mi tocca rinnovare il permesso di soggiorno; con i tempi che corrono e la lentezza burocratica mi torna difficile prendere impegni lavorativi all'estero o organizzare un semplice viaggio; non ho potuto fare l'erasmus e non potrei fare un concorso pubblico. La cittadinanza è un tasto dolente e spero che qualcosa cambi presto».

Fedoua ha una carica da far invidia: «Purtroppo l'ignoranza è una brutta bestia e l’Italia, come tutto il mondo, d’ignoranti è piena. Ormai atteggiamenti di razzismo sono all'ordine del giorno e la cosa raccapricciante è che tutto passa sotto i nostri occhi senza che nessuna muova un dito. Siamo una generazione di rilassati e questa superficialità un po’ mi preoccupa. Siamo una generazione - dice, lasciando trasparire tutto il suo pensiero, tutto il suo modo di essere, tutto il suo modo di concepirsi e sentirsi -. Mi sento italiana e cerco di prendere solo il meglio della società italiana, mi spaventano tutti quegli immigrati che pur di sentirsi integrati prendono il peggio del peggio».

La sua determinazione è contagiosa, ha le idee chiare, sa cosa vuole per sé e per la sua generazione: «Il mio futuro? Lo vedo in Italia, ma la situazione è preoccupante: non vorrei mettere al mondo i miei figli in un paese in cui la tolleranza è un miraggio e la politica vede ancora l'immigrato come un mezzo usa e getta e guai a chi tenta di fare una proposta intelligente al passo con la maggior parte dei paesi europei. La nostra generazione è una generazione di sperimentazione, di passaggio. La società, la politica non sanno ancora chi siamo, cosa chiediamo. Non sanno come devono comportarsi. Sono tutti concentrati a puntare il dito contro la religione ogni volta che succede qualcosa invece dovrebbero puntarlo contro le loro politiche d'integrazione che sono un completo fallimento. Ora ne stanno raccogliendo i frutti. Parlano di integrazione, ma il termine integrazione è superato: parliamo di persone che non si sono integrate ma sono cresciute in Italia, hanno sviluppato un carattere sicuramente molto più ricco e una mentalità molto aperta pronta ad accettare e accogliere tutto e tutti».

È preoccupata Fedoua: il rischio è di chiudere una intera generazione all’interno delle moschee, di vedere un’intera generazione ripiegarsi su se stessa e sulla propria religione, «quando non ci si sente accettati, ci si rivolge alle persone che ti capiscono e ti accettano, le porte delle moschee sono sempre aperte. Le diverse comunità si stanno chiudendo in se stesse, ogni giorno di più».
Hicham, invece, è più timido. A parlare con lui sembrerebbe che le insistenti accuse di razzismo alla società italiana siano totalmente infondate, costruite a tavolino. «Non ho mai avuto grossi problemi, certo, a volte capita che entri in un bar e ti senti più osservato». «Magari per i rasta, suggeriamo!». Sorride e aggiunge: «Sono arrivato all’età sei anni, dal Marocco a Palermo. Ora vivo a Roma e frequento Lingue e civiltà orientali. Il sud credo sia il massimo per un immigrato. La gente è più aperta. Ti senti a casa».
Hicham è un appassionato di informatica e computer, è il web master del sito dell’associazione Genemaghrebina e vive allo studentato, insieme ad altri ragazzi: «Siamo tutti stranieri», precisa.
Hicham gioca a calcio, gli piacciono il basket e il cibo italiano «magari con qualche spezia in più!». Si sente italiano al 100%, anche se, in alcuni casi è costretto a pensare: «Ok, sei italiano, ma pur sempre straniero!». Soprattutto nelle situazioni burocratiche, «quando ti fermano e nonostante la cittadinanza italiana sulla carta di identità, chiedono il permesso di soggiorno. Lì dici “sono straniero!”». Sul futuro delle seconde generazioni è ottimista: «È un processo che è partito e sarà difficile fermarlo. Le seconde generazioni avranno delle difficoltà nell’integrazione ma ce la faranno. Certo la cittadinanza, ma almeno il diritto di voto! I politici non hanno ancora la piena percezione di quanti siano gli immigrati in Italia. Anche perché non esiste ancora un’organizzazione politica», precisa, avanzando quasi un’istanza.
Sono i giorni in cui i media ci bombardano con i tristi fatti di cronaca di Sanaa, ci ricordano la storia di Hina e la domanda sul conflitto generazionale non può mancare. I nostri interlocutori sono categorici: idee chiare, giudizi decisi. «Le storie di Hina e Sanaa possono sembrare simili perché entrambe sfociano in un omicidio operato dal padre che i giornali e le televisioni hanno voluto attribuire alla religione, ma non è affatto così. L'Islam può sembrare uguale ma non lo è: ci sono varie scuole di pensiero, l'islam in Pakistan è diverso da quello marocchino. Purtroppo in Italia stiamo raccogliendo i frutti di una politica che ha voluto ignorare l'immigrato come individuo, o meglio, ha preferito attaccarlo con una serie di leggi a suo sfavore, ignorando completamente la sua realtà. Ho l'impressione, purtroppo, che esista uno Stato nello Stato: se andiamo avanti così diventerà incontrollabile da parte del governo. Bisogna entrare nel mondo di queste persone, capirle e farle avvicinare. Attaccandole si otterrà solo l'effetto contrario. I genitori di queste ragazze sono il risultato di questa politica, completamente abbandonati a se stessi e con una comunità che giudica tutto e tutti senza lasciare al singolo individuo la libertà di scegliere. È come appartenere a un clan - continua -.
Quello che potrebbe aver spinto questi genitori è sicuramente un sentimento di rabbia e di disonore: l'italiano è ancora visto come qualcosa da tenere fuori dalla famiglia perché rappresenta il diverso, quasi il nemico e la religione diventa un pretesto. Le ragazze, vivendo qui si sono innamorate di quello che conoscono e vedono tutti i giorni: sicuramente non avrebbero mai accettato un matrimonio combinato. Si sono trovate da sole ad affrontare qualcosa di più grande di loro: pensavano di essere libere» precisa perentoria Fedoua.

«È assurdo strumentalizzare eventi del genere a discapito di tutta la nostra comunità. Chi fa una cosa del genere è da considerare un pazzo, al di là del fatto che si sia nascosto dietro la fede islamica», aggiunge Hicham. E del burqa, della poligamia, cosa pensa una ragazza di religione islamica, cosa pensa Fedoua? «Sono favorevole al divieto di entrambi, sono dell'idea che quando si sceglie un paese si devono accettare le sue leggi e non creare uno Stato nello Stato».

2 febbraio 2010


Fonte: http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.as ... o=Attualità&Codi_Cate_Arti=24


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