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LE NUOVE REGOLE PER L’IMMIGRAZIONE

L'integrazione degli islamici

In tempi brevi la Ca mera dovrà pronun ciarsi sulla cittadi nanza e quindi, an che, sull’«italianizzazio ne » di chi, bene o male, si è accasato in casa no stra. Il problema viene combattuto, di regola, a colpi di ingiurie, in chia ve di «razzismo». Io dirò, più pacatamente, che chi non gradisce lo straniero che sente estraneo è uno «xenofobo», mentre chi lo gradisce è uno «xenofi lo ». E che non c’è intrinse camente niente di male in nessuna delle due rea zioni.

Chi più avversa l’immi grazione è da sempre la Lega; ma a suo tempo, nel 2002, anche Fini fir mò, con Bossi, una legge molto restrittiva. Ora, in vece, Fini si è trasformato in un acceso sostenitore dell’italianizzazione rapi da. Chissà perché. Fini è un tattico e il suo dire è «asciutto»: troppo asciut to per chi vorrebbe capi re. Ma a parte questa gira volta, il fronte è da tempo lo stesso. Berlusconi ap poggia Bossi (per esserne appoggiato in contrac cambio nelle cose che lo interessano). Invece il fronte «accogliente» è co stituito dalla Chiesa e dal la sinistra. La Chiesa deve essere, si sa, misericordio sa, mentre la xenofilia del la sinistra è soltanto un «politicamente corretto» che finora è restato male approfondito e spiegato.

Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integra bilità » dell’islamico. Se condo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall'espe rienza. La domanda è allo ra se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorpo razione etico-politica (nei valori del sistema politi­co), in società non islami che. La risposta è sconfor tante: no.

Il caso esemplare è l’In dia, dove le armate di Al lah si affacciarono agli ini zi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominaro no l’intero Paese. Si avver ta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa ciosi, pacifici; e la maggio ranza è indù, e cioè poli teista capace di accoglie re nel suo pantheon di di vinità persino un Mao metto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventa re il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesi stenza in cagnesco finisse ro in un mare di sangue. Conosco, s’intende, an che altri casi e varianti: dalla Indonesia alla Tur chia. Tutti casi che rivela no un ritorno a una mag giore islamizzazione, e non (come si sperava al meno per la Turchia) l’av vento di una popolazione musulmana che accetta lo Stato laico.

Veniamo all’Europa. In ghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritro vano con una terza gene razione di giovani islami ci più infervorati e incatti­viti che mai. Il fatto sor prende perché cinesi, giapponesi, indiani, si ac casano senza problemi nell’Occidente pur mante nendo le loro rispettive identità culturali e religio se. Ma — ecco la differen za — l’Islam non è una re ligione domestica; è inve ce un invasivo monotei smo teocratico che dopo un lungo ristagno si è ri svegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzan dolo » è un rischio da gi ganteschi sprovveduti, un rischio da non rischia re.

Giovanni Sartori
20 dicembre 2009


Fonte: http://www.corriere.it/editoriali/09_di ... aabc.shtml


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MessaggioInviato: 02 gen 2010, 16:34 
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la mia risposta all'editoriale di Giovanni Sartori sulla "Integrazione degli islamici"

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In tempi brevi la Camera dovrà pronunciarsi sulla cittadinanza e quindi, anche, sull’«italianizzazione » di chi, bene o male, si è accasato in casa nostra. Il problema viene combattuto, di regola, a colpi di ingiurie, in chiave di «razzismo». Io dirò, più pacatamente, che chi non gradisce lo straniero che sente estraneo è uno «xenofobo», mentre chi lo gradisce è uno «xenofilo ». E che non c’è intrinsecamente niente di male in nessuna delle due reazioni.


Mi dispiace di non esser d'accordo con il professore Sartori fin dalle primissime righe. Non sono d'accordo sull'italianizzazione, perché non è di questo che si tratta. Nel mondo in cui viviamo, nel ventunesimo secolo, non possiamo parlare di italianizzazione, concetto che rimanda alla nazione e all'assimilazione in una gens; siamo obbligati invece a parlare non di gens ma di communitas, non di integrazione di "spiriti" e sentimenti nazionali/confessionali ma di diritti e doveri che riconducano i membri della communitas ad essere degli eguali in uno stesso ambito territoriale/istituzionale/statale.

Già la metafora della casa può essere usata (e viene usata, abbondantemente, con tanto di possessivo, dai leghisti), piuttosto ingenuamente, per sbarrare la porta ad ogni soggetto/oggetto alloctono.

La xenofobia e la xenofilia, intrisecamente presenti in tutti noi, hanno delle conseguenze estrinseche importanti, potenzialmente pericolose e vanno entrambe combattute con la conoscenza dell'altro partendo da una seria consapevolezza del proprio essere, della propria identità.
Cita:
Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integrabilità » dell’islamico. Secondo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall'esperienza. La domanda è allora se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no.


Si potrebbe dire lo stesso di tutte le religioni che, in un'epoca o nell'altra, hanno avuto pretese di monopolio del divino. E' emblematico in tal senso già il fatto stesso che oggi, in un paese a stragrande maggioranza cristiana e cattolica come l'Italia, ci si interroghi sulla c.d. "integrabilità dell'islamico".

Prima di passare alle esperienze storiche vorrei dichiarare la mia totale opposizione al ragionamento in termini di islamico/non-islamico, perché oltre che fuorviante è privo di logica: sono categorie errate, che peccano di eccessiva semplificazione e pongono al loro interno un intero universo diversificato. L'Islam non è un insieme omogeneo come non lo è il diversificato "mondo cristiano". Non si spiegherebbero così tanti diversi "Stati musulmani" o a maggioranza musulmana. Non si spiegherebbe l'effimera esperienza della Repubblica Araba Unita con la quale si tentò di unire politicamente Siria, Egitto e poi anche Yemen del Nord: erano in gioco interessi politici che sovrastarono ampiamente (e sovrastano tutt'oggi) quelli religiosi. Non si spiegherebbe la guerra combattuta dai bangladeshi contro il Pakistan (occidentale) per ottenere l'indipendenza di quello che è poi divenuto l'attuale Bangladesh: non fu una guerra religiosa, poiché entrambi i territori erano in stragrande maggioranza musulmani, ma una guerra che possiamo chiamare di "identità", nella quale i bangladeshi reclamavano l'affermazione della propria identità bengalese, la propria lingua, l'arte, la musica, la storia.

Se accettiamo i suoi parametri, caro professor Sartori, dovremmo dire che per quanto concerne i mafiosi nostrani non è riuscita e non riesce la loro "incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico)" nella società "cristiana", pur essendo loro stessi "cristiani"?

E che lettura dovremmo dare al genocidio in Rwanda, consumatosi tra cristiani? Alle guerre mondiali?

Se vogliamo imparare dall'esperienza, allora facciamolo compiutamente (ma sarebbero necessarie molte più righe di quanto sia consentito in un editoriale).
Nella penisola iberica sotto i sultani musulmani (per ben 8 secoli!) le minoranze religiose erano tollerate anche se sottoposte a tassazione, e questa coesistenza di culture e religioni fece la grandezza di quei regni; con la c.d. "Reconquista" da parte dei sovrani cristiani, furono cacciati i "mori" e gli ebrei e costretti alla conversione coloro che decidevano di restare.

Cita:
Il caso esemplare è l’India, dove le armate di Allah si affacciarono agli inizi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominarono l’intero Paese. Si avverta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi paciosi, pacifici; e la maggioranza è indù, e cioè politeista capace di accogliere nel suo pantheon di divinità persino un Maometto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventare il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesistenza in cagnesco finisse o in un mare di sangue.


Qui casca l'asino ed il professore dimostra l'ingenuità con cui guarda alla storia "islamica", per dirla con i suoi stessi parametri (errati).
Innanzitutto attorno al XIV° secolo il buddhismo indiano era estinto, mentre si sviluppava più ad oriente.
Quali sarebbero poi gli indiani "indigeni"? Da secoli prima della nascita di Gesù fette importanti dell'India (di solito la zona centro-settentrionale) sono sempre state sotto il dominio di regnanti "stranieri" poi "integrati" in loco.
Gli inglesi non fecero un favore all'India spartendo il paese sul basi religiose ma provocarono con questa spartizione d'identità (che è lo stesso pensiero sotteso al suo editoriale) circa un milione di morti e la più grande migrazione forzata della storia: dodici milioni di persone abbandonarono tutto per traferirsi dall'una o dall'altra parte del confine "culturale" tracciato da penne politiche.
Gandhi si oppose con tutte le sue forze a quella che definì come la "vivisezione di una nazione intera" ed invitato a Londra alla Conferenza della tavola rotonda convocata dal governo britannico nel 1931, dove fu invitato per rappresentare soltanto gli indù di casta (fatto, questo, che lo infastidì molto), fece d'altronde notare al primo ministro britannico, :"Avete adotatto, riguardo alle donne, la linea di rifiutare completamente la loro rappresentanza...si dà il caso che siano la metà della popolazione indiana".

L'India oggi ha una popolazione di musulmani vicina numericamente a quella del Pakistan, e credo che nessuno abbia il coraggio di dubitare della loro "incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico)" in una società non islamica (anche se, come ho già fatto notare, rifiuto questa visione puramente religiosa della società, della storia, della politica, insomma della realtà). L'attuale presidente della Repubblica indiana è Pratiba Patil, una donna il cui vice presidente è musulmano; prima di lei era presidente Abdul Kalam, un musulmano, ed allora come adesso era primo ministro Manmohan Singh, un sikh, mentre il capo del partito di governo, Il Congress party, è una donna cristiana di origini italiane, Sonia Gandhi (Edvige Antonia Albina Maino), nata nel Veneto. Tutto ciò in un paese a maggioranza indù!

Evidentemene il professore ha scelto l'esempio sbagliato.

Cita:
Veniamo all’Europa. Inghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritrovano con una terza generazione di giovani islamici più infervorati e incattiviti che mai. Il fatto sorprende perché cinesi, giapponesi, indiani, si accasano senza problemi nell’Occidente pur mantenendo le loro rispettive identità culturali e religiose.
Ma — ecco la differenza — l’Islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è ri svegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzandolo » è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare.


Mi sconvolge non poco la visione delle rivolte nelle banlieu come una crociata islamica invece di quello che è, ossia una rivolta per l'uguaglianza sostanziale di giovani francesi emarginati per il colore della loro pelle.
Il rischio da non rischiare è quello di vedere tutto in termini religiosi. Non a caso i "cinesi, giapponesi, indiani" possono essere quello che sono, cinesi, giapponesi e indiani, senza essere soltanto musulmani, mentre i musulmani sono visti come una cosa a sè, uno stato, un'appartenenza onnicomprensiva, un esercito con una sua unica bandiera. I musulmani possono essere visti solo come musulmani, non come cittadini di questo o quello stato, non come uomini, non come persone che hanno certe idee politiche, di destra o di sinistra, non come tifosi di questa o quella squadra, non come ricchi o poveri, non come pittori o musicisti, scrittori o imprenditori, ma soltanto come musulmani. L'India ha 160 milioni di musulmani, gli indiani si "accasano" senza problemi nell'Occidente, ma i musulmani no (?).

Caro professore, io dissento da tutto ciò che lei dice in questa superficiale lettura della realtà mondiale.
Ci sono problemi che in alcune aree del mondo coinvolgono i musulmani, ma non per questo è un problema dell'Islam in sè e per sè.
L'invito che le rivolgo e rivolgo a tutti coloro che si dilettano in simili riflessioni - in primo luogo ai stessi musulmani - è quello di riservarsi la prossibilità di letture non soltanto religiose della realtà e, per i musulmani, della propria identità.
Se i musulmani guarderanno a sè stessi soltanto come musulmani - illudendosi che questa sia la loro appartenenza più importante, sempre e comunque, in ogni aspetto della loro vita - e tutti gli altri guarderanno ai musulmani soltanto come musulmani, si finisce per generare un cortocircuito che ruota attorno all'illusione di identità monodimensionali.

Concludo con alcune illuminanti righe di Amartya Sen tratte dal suo "Identità e violenza": "...Persino la frenetica ricerca da parte dell'Occidente del 'musulmano moderato' confonde moderazione delle opinioni politiche con moderazione nella fede religiosa. Una qualsiasi altra persona può avere una forte fede religiosa - islamica o di qualsiasi altra confessione - e al tempo stesso avere opinioni tolleranti. L'imperatore Saladino, che combattè valorosamente per l'Islam nelle Crociate del XII secolo, poteva offrire, senza alcuna contraddizione, un posto d'onore nella sua corte reale in Egitto a Maimonide, illustre filosofo ebreo fuggito da un'Europa intollernate. Mentre alla fine del XVI secolo, l'eretico Giordano Bruno veniva messo al rogo a Campo de' Fiori, a Roma, il Gran Moghul Akbar (nato musulmano e morto musulmano) aveva appena portato a termine, ad Agra, il suo grande progetto di codificare i diritti delle minoranze, compresa la libertà religiosa per tutti.
Il punto che vale la pena sottolineare è che, se Akbar era libero di portare avanti le sue politiche liberali senza cessare di essere musulmano, ciò non significa che quel liberalismo faccia parte delle prescrizioni - nè naturalmente delle proibizioni - dell'islam. Un altro imperatore Moghul, Aurangzeb, poteva negare i diritti delle minoranze e perseguitare i non musulmani continuando a essere musulmano, esattamente come Akbar non smetteva di essere musulmano in virtù della sua politica pluralista e tollerante"
.

L'articolo e i commenti su Facebook: http://www.facebook.com/home.php#/notes ... 5793913421


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I NUOVI ITALIANI di Corrado Giustiniani

Sartori spara contro l'islam: «Impedisce l'integrazione»
pubblicato il 21-12-2009 alle 15:24

Stiamo freschi se anche le intelligenze più lucide di questo paese perdono improvvisamente la brocca e, invece di proporre soluzioni, preferiscono sparare giudizi di pancia e diffondere veleni ai quattro venti. C'è da rimanere basiti a leggere l'articolo di fondo del Corriere della Sera di domenica 20 dicembre, dal titolo alquanto problematico e possibilista, “L'integrazione degli islamici", e dalle conclusioni al contrario tranchant, che non ammettono dubbi o ripensamenti. No, gli islamici non sono integrabili e men che meno possono essere “italianizzati”, ottenere cioè la cittadinanza del nostro paese. A scrivere non è Borghezio, non è Calderoli e nemmeno l'ex sindaco leghista di Treviso Gentilini, ma nientemeno che Giovanni Sartori, il maggior politologo italiano.

E' preoccupato, Sartori, per la riforma della legge sulla cittadinanza che proprio in questi giorni inizia il proprio iter in aula alla Camera. Nel primo capoverso dell'articolo mette sullo stesso piano “xenofobi” e “xenofili”: «Non c'è niente di male - spiega - in nessuna delle due reazioni». Poi passa al dunque: «La questione non è tra bianchi neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla “integrabilità dell'islamico”». La storia insegna, secondo Sartori, che i fedeli di Allah non sono “incorporabili” nei valori del sistema politico di società non islamiche. Il politologo fa alcuni velocissimi esempi, dall'India alla Turchia, a Inghilterra e Francia che, nonostante gli sforzi, «si ritrovano con una terza generazione di islamici più infervorati e incattiviti che mai».

Conclusione: «L'islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo “italianizzandolo” è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare».

Ora, a parte il fatto che in Francia le proteste delle periferie, dove vivono gli immigrati marocchini, algerini e tunisini delle ex colonie, nascono da ragioni economico-sociali, più che religiose, quale sarebbe la proposta di Sartori? Non concedere la nazionalità italiana a stranieri che vivono qui regolarmente da molti anni, soltanto perché sono di religione diversa? E' possibile, professore? E' legittimo, è costituzionale tutto ciò? E visto che il primo atto di integrazione è la concessione del permesso di soggiorno, non dovremmo dare nemmeno questo a un immigrato di religione islamica, non è vero?

E' stato un anno sfibrante per tutti e queste feste vengono a fagiolo per placare gli animi e chiarirsi un po' meglio le idee. Fa pensare, infine, la posizione del commento di Sartori: se è un articolo di fondo, riflette forse la linea politica del più importante giornale italiano? O nei prossimi giorni verrà concessa la stessa collocazione a chi la vede un po' diversamente? La risposta non dovrebbe farsi attendere troppo.

Scopro adesso che Il Corriere della Sera del 23 dicembre, in pagina interna, ha ospitato una lettera dell'economista Tito Boeri, fortemente critica nei confronti di Sartori. Boeri ricorda che, soltanto in Italia, gli immigrati di fede islamica sono «circa un milione e mezzo», osserva poi che «il 77 per cento dei maghrebini di seconda generazione immigrati in Francia ha sposato una persona di cittadinanza francese. Dichiarano di sentirsi francesi tanto quanto gli altri immigrati. In Germania - continua l'economista - il figlio di un immigrato turco (al 90 per cento di religione islamica) ha la stessa probabilità del figlio di un immigrato italiano di sposarsi con una persona nata in Germania. Si identificano di più con il Paese che li ha accolti di quanto non facciano i figli dei nostri immigrati».

E ancora: nel Regno Unito gli immigrati islamici del Pakistan e del Bangladesh si integrano allo stesso modo degli indiani, dei caraibici e dei cinesi, e si sentono più britannici degli immigrati di fede cristiana. Boeri in ogni caso non nega che difficoltà di integrazione possano esistere, «ma trattare questi problemi con superficialità, alimentando pregiudizi tanto diffusi quanto lontani dalla realtà non aiuta certo a risolverli»


Fonte: http://www.ilmessaggero.it/home_blog.ph ... 6&idaut=11


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L’Islam, l’Italia e l’India. Errori e sciocchezze sulla prima pagina del Corriere della Sera

di marco restelli

Oggi vi propongo un gioco: correggiamo con la penna rossa gli errori di un Professore. Perché farlo? Perché si può perdonare quasi tutto a quasi tutti, ma non una serie di sorprendenti errori in un editoriale di prima pagina di un giornale nazionale come il Corriere della Sera. Perché errori e imprecisioni si diffondono poi nell’opinione pubblica.

L’editoriale in questione si intitola «L’integrazione degli islamici», ed è uscito sul Corriere della Sera di ieri, domenica 20 dicembre, a firma di Giovanni Sartori. Il prof. Sartori è un insigne politologo di fama internazionale, e le sue tesi sulla democrazia italiana mi sono spesso apparse convincenti. Questa volta però per argomentare la sua tesi tira in ballo la storia dell’India prendendo delle cantonate.

La tesi fondamentale dell’articolo di Sartori, contenuta nella conclusione, è che «illudersi di integrare l’Islam italianizzandolo è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare». Si tratta di un’opinione che non condivido affatto, ma del tutto lecita. Purtroppo però Sartori, per sostenere l’impossibilità di integrare l’islam in società non islamiche, cita proprio l’esempio sbagliato: l’India. E qui arrivano gli errori di carattere storico e culturale.

«Il caso esemplare è l’In dia, dove le armate di Al lah si affacciarono agli ini zi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominaro no l’intero Paese», scrive sul Corriere il prof. Sartori. E qui c’è già il primo errore. L’Islam si era affacciato in India ben prima del 1500: sin dall’ottavo secolo era giunto in terra indiana sia grazie ai mercanti arabi sia con le incursioni del condottiero Muhammad bin Qasim, cui seguirono le conquiste territoriali di Mahmud, sultano di Ghazni (nell’attuale Afghanistan). Da allora l’Islam indiano non aveva fatto che radicarsi culturalmente ed espandersi territorialmente.

Ma andiamo avanti. Sartori scrive: «Si avver ta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa ciosi, pacifici...». E qui c’è un secondo errore. Gli indiani non sono buddhisti perché il buddhismo è praticamente scomparso dall’India nel tredicesimo secolo. Oggi gli unici buddhisti in India sono piccole minoranze di tribali o fuoricasta convertiti (seguaci di Ambedkar) e naturalmente gli esuli tibetani. Quanto al fatto che sarebbero paciosi e pacifici…via, è una sciocchezza, un luogo comune dei più triti…

Continua Sartori: «...la maggio ranza è indù, e cioè poli teista capace di accoglie re nel suo pantheon di di vinità persino un Mao metto». Terzo errore. Dobbiamo ricordare che il profeta Maometto non è mai stato accolto nel pantheon indù? E’ un’ovvietà…ma andiamo avanti.

«Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventa re il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesi stenza in cagnesco finisse ro in un mare di sangue», prosegue Sartori. E qui c’è un quarto errore di prospettiva storica. Perché quando ci fu la divisione fra India e Pakistan moltissimi musulmani scelsero di restare in India, che oggi è una nazione di 1 miliardo 150milioni di abitanti con il 13,5% di musulmani. l’India oggi, nonostante tensioni sociali e periodici conflitti, è un esempio di ciò che Sartori considera impossibile: un Paese a maggioranza non islamica di cui i musulmani fanno parte a tutti i livelli. Una democrazia laica in cui i musulmani sono presenti in tutti i campi della vita pubblica.
L’India è una democrazia che ha avuto tre Presidenti della Repubblica musulmani. Qualcuno dovrebbe avvertire il professor Sartori che ha fatto proprio l’esempio sbagliato… (e ciò al di là del fatto che la sua tesi non convince comunque, né sull’Italia né riguardo agli altri Paesi citati, la Turchia e l’Indonesia).

P.S.: A chiunque sia interessato a conoscere l’Islam indiano e il suo ruolo nella costruzione della società e cultura indiana consiglio di leggere la Storia dell’India di Michelguglielmo Torri (storico dell’Università di Torino) edita da Laterza.


Fonte: http://milleorienti.wordpress.com/2009/ ... ella-sera/


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Caro Sartori, chi è lo sprovveduto?

Forse è un fatto generazionale. Perché la sua è una visione della storia davvero antiquata. Come un qualsiasi Messori, anche Giovanni Sartori, che appare assolutamente ragionevole quando parla e scrive delle sue cose, risulta a dir poco approssimativo quando si avventura in territori extraeuropei.

Visto che lo stimo come costituzionalista e politologo farò un’analisi puntuale del suo: “L’integrazione degli islamici” di ieri (fonte) e – by the way – cercherò di dimostrare, una volta di più, che sommando due o tre pressappochismi si arriva a conclusioni sbagliate.

Allora. Per prima cosa, come ho già scritto, dovremmo dire “musulmani” e non “islamici”, a meno che non vogliamo indicare dei musulmani che usano strumentalmente la religione islamica per altri fini. Ma va bene così, lasciamo perdere. Non voglio mettermi a fare le pulci a Sartori.

L’esordio dell’articolo riguarda la nuova proposta di legge Sarubbi-Granata (testo) che verrà discussa in parlamento. La discussione nell’aula parlamentare è vicina, quindi è bene affrontare la questione.

Per Sartori è xenofobo – la Lega – “chi non gradisce lo straniero” e xenofilo chi lo gradisce – la Chiesa e la Sinistra. Fra gli xenofili la Chiesa è accogliente “per natura” mentre la Sinistra è accogliente per political correctness. La sua intenzione è di discutere dell’”integrabilità degli islamici”, quindi di questioni culturali, e non di integrabilità di “gialli, neri e rossi”, cioè di razze.

In questo quadro Sartori esclude la disamina del Corano per passare a osservare con pragmaticità “l’esperienza” storica dal 630 d.C. (chissà perché non dal 622) a oggi. E arriva alla conclusione che, ahimé, da allora non si è mai assistito ad alcuna “integrazione degli islamici” né, comunque, a una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politi co), in società non islami che.

E qui già non capisco. Di cosa parla Sartori? La questione dell’integrazione si pone unicamente nel mondo contemporaneo, con l’immigrazione in occidente, e ancora di più in tempi di globalizzazione. Nessun processo di integrazione, di regola, è mai stato posto in atto altrove. O mi è sfuggito qualcosa?

A Sartori risulta che i transfughi del Vecchio Continente si siano integrati con i nativi americani? O che i Portoghesi, gli Olandesi, i Francesi o gli Inglesi si siano integrati con le popolazioni che colonizzarono?

Non possiamo parlare di integrazione in prospettiva storica, se non facendo grossi distinguo con la situazione contemporanea. E’ un fatto del tutto nuovo. Oppure vogliamo cadere, di nuovo, nella trappola della fine della storia?

Ma andiamo avanti, dando per buono che processi di integrazione storici siano paragonabili a quelli che vediamo oggi:

Il caso esemplare [di non integrazione n.d.r.] è l’In dia, dove le armate di Al lah si affacciarono agli ini zi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominaro no l’intero Paese.

Falso. I musulmani arrivano nel subcontinente indiano, e più precisamente nel Sind (l’odierno Pakistan sudorientale) nel 711 d.C., cioè ottocento anni prima dei Moghul e neanche un secolo dopo la nascita dell’islam. Che il Sind oggi sia una provincia del Pakistan poco importa se consideriamo che Pakistan e India così come li conosciamo sono una creazione recentissima (15 agosto 1947).

Dal 711 in poi i musulmani affluirono costantemente nel subcontinente indiano sia per terra che per mare, sia con invasioni militari (per terra) che attraverso reti commerciali (principalmente per mare).

Specialmente nel sud, sulle coste occidentali, l’afflusso fu così “poroso” che, senza esservi alcun “evento” storico rilevante (una guerra, uno scontro militare, un’ambasceria) nel X secolo troviamo – soprattutto nelle città – comunità musulmane autoctone, ovvero nate in loco e parlanti la lingua del luogo perfettamente integrate nel sistema indiano delle caste (talvolta a livelli piuttosto alti, ad esempio nel Kerala alcuni gruppi di musulmani erano tradizionalmente commercianti di cavalli). Ancora oggi diverse categorie di musulmani indiani ne fanno parte.

L’integrazione dei musulmani in India è profondissima, al punto che in alcuni casi gli storici si trovano in difficoltà nello stabilire se determinate confraternite mistiche siano state o meno musulmane.

Gli studiosi di islam che affrontano l’India sanno bene tutto questo. Da decine e decine di anni.

Come hai fatto, Sartori, a ignorarli?

Proseguiamo.

Si avver ta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa ciosi, pacifici; e la maggio ranza è indù, e cioè poli teista capace di accoglie re nel suo pantheon di di vinità persino un Mao metto.

Il buddismo in India è estinto da circa 700 anni. Buddha era induista. Così come Cristo era ebreo.

Diciamo che il buddismo in India ha rappresentato una importante parentesi, importante più o meno quanto l’islam.

Riguardo alla “paciosità” del buddismo invito Sartori a leggere un po’ di storia dell’India: siamo uomini, le nostre religioni sono da sempre anche strumento di potere e/o sua espressione.

Ma ecco che ci avviamo al termine dell’analisi di Sartori:

Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventa re il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesi­stenza in cagnesco finisse ro in un mare di sangue.

Non parlo di paternalismo, Sartori, solo perché non voglio metterti a disagio, ma dire che gli inglesi dovettero inventare il Pakistan è davvero orribile.

Episodi di intolleranza religiosa (su una base di convivenza pacifica e interattiva) nella storia del subcontinente indiano, che vi siano stati coinvolti i musulmani o meno, ci sono sempre stati. Fra le vittime, ad esempio, ci sono i buddisti, ma per mano degli “inclusivi indù” (ti invito a vedere ciò che fanno oggi gli estremisti indù sia ai cristiani che ai musulmani). Così come splendidi episodi di fusione, ma lasciamo perdere…

In specifico, la nascita di India, Pakistan e Bangladesh è dovuta al solito divide et impera degli inglesi (che fuggirono dall’India, non l’abbandonarono) i quali – forse in buona fede – fin dall’inizio del ‘900 avevano promosso un modello costituzionale basato sull’appartenenza religiosa che generò – come era prevedibile – uno scontro di interessi insanabile sull’asse musulmani-indù.

Immagine

Ghandi e Badhshah Khan
Per chiudere questa parte della riflessione osservo, affinché Sartori ci ragioni su, che se parliamo dell’India e dell’integrazione in India dovremmo parlare per prima cosa di chi sono gli induisti, non dei musulmani (vi invito, fra l’altro, a leggere Quando arrivano le cavallette di Arundhati Roy).

Ma andiamo avanti, perché Sartori continua così:

Conosco, s’intende, an che altri casi e varianti: dalla Indonesia alla Tur chia. Tutti casi che rivela no un ritorno a una mag giore islamizzazione, e non (come si sperava al meno per la Turchia) l’av vento di una popolazione musulmana che accetta lo Stato laico.

Allora. In Indonesia, come in altre aree dell’Oceano Indiano, l’islam si è perfettamente integrato, sempre per vie commerciali, con ciò che ha trovato in loco. Che Sartori si vada a leggere i miti di fondazione dell’islam indonesiano, e rifletta un po’ su di essi aiutato dagli scritti di Alessandro Bausani (anch’egli, fra l’altro, scriveva talvolta sul Corriere). In seguito, diviene l’unico polo di aggregazione anti-coloniale (ne ho scritto qui). Possiamo interrogarci su questo processo, ma non è legittimo, a mio avviso, collegare ciò che succede oggi in Indonesia (recrudescenze fondamentaliste in un mondo globalizzato) con l’Indonesia storica (un esempio di integrazione in epoca pre-industriale).

Riguardo alla Turchia non so se Sartori vi sia mai stato. Io, andandovi più volte, e in periodi diversi, ho visto uno stato laico nella cui società si agitano inquietudini di vario genere, anche a causa di una certa mancanza di democrazia e in presenza di eventi mondiali rilevanti (al-Qaida non nasce in Turchia) e una geopolitica delicatissima (un paese della NATO che fino a ieri ha dato il proprio spazio aereo a Israele). Nulla a che vedere con l’India e con l’Indonesia.

Insomma: questi 3 esempi sono troppo eterogenei per essere messi insieme in un quadro in cui si vuole dimostrare la non integrabilità dell’islam. Sartori, pur dichiarando di conoscere, non conosce un bel niente.

Il finale è quasi fallaciano. Per commentarlo dovrei scrivere pagine e pagine, ma in questo momento non ne ho proprio voglia, quindi lo cito:

Veniamo all’Europa. In ghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritro vano con una terza gene­razione di giovani islami ci più infervorati e incatti viti che mai. Il fatto sor prende perché cinesi, giapponesi, indiani, si ac casano senza problemi nell’Occidente pur mante nendo le loro rispettive identità culturali e religio se. Ma — ecco la differen za — l’Islam non è una re ligione domestica; è inve ce un invasivo monotei­smo teocratico che dopo un lungo ristagno si è ri svegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzan­dolo» è un rischio da gi ganteschi sprovveduti, un rischio da non rischia re.

Che vi devo dire? Se anche Sartori ragiona così, il margine di manovra è microscopico, quasi nullo.

Altro che 30 secondi.

Certo, rimane un po’ di rabbia: quando si parla di cose di casa nostra tutti stanno attenti a quello che dicono.

Si fanno le pulci a concetti, teorie, citazioni.

Senza se, senza ma.

Varcato il Bosforo, invece, si può dire qualsiasi cosa.

Anche che i buddisti stanno in India.

Anche che gli indù sono tollerantissimi.

Tutti diventano giganteschi sprovveduti ma nessuno se ne cura.

Ciao, Sartori. Alla prossima uscita, ti prego, fammi un fischio, così parliamo un po’.


Fonte: http://30secondi.wordpress.com/2009/12/ ... omment-214


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DOMENICA 27 DICEMBRE 2009

Sartori e gli islamici. Non è un paese per giovani.
Da qualche settimana ormai, il Corriere della Sera propina una specie di pubblicità ingannevole che recita: "Un'informazione di parte crea delle persone immobili. Per questo ci battiamo per un'informazione indipendente che permetta ad ognuno di farsi la sua opinione". Per avere un assaggio dell' informazione indipendente di cui si fregia il quotidiano della borghesiuccia italiota, basta analizzare il modo con cui affronta, da quasi 10 anni ormai, la cosiddetta "questione islamica". Non vi sarà di certo sfuggito che le uniche versioni propinate ai suoi lettori su questo tema sono quelle di persone decisamente imparziali (sic) come Fu Oriana Fallaci "la più grande scrittrice italiana di tutti i tempi", Magdi Allam "il più autorevole esperto di cose islamiche in Italia" e altri nomi dalle posizioni perfettamente sovrapponibili che si fa fatica a capire chi di loro ha scritto cosa. A questa pregiata categoria di persone talmente esperte da risultare inqualificabili, si è accodato ultimamente anche Giovanni Sartori, "il più grande politologo italiano ed uno dei massimi esperti di politologia a livello internazionale".

Sartori, nato nell'anno in cui moriva Lenin e veniva esiliato l'ultimo sultano di Istanbul, è stato scomodato dal Corriere per spiegarci con un editorialone che rimarrà negli annali della politologia che i razzisti non si chiamano così: si chiamano - "più pacatamente"- "xenofobi". E "Xenofobi" è il contrario di "Xenofili". E si può essere l'uno o l'altro, indistintamente. D'altronde - pensate un po' - "non c’è intrinse­camente niente di male in nessuna delle due reazioni". Insomma: essere razzisti - pardon, "più pacatamente" xenofobi - è cosa bella e buona, esattamente come il non esserlo. Anzi, la xenofilia, come quella che caratterizza i trinariciuti sinistroidi per intenderci, è "un «politicamente corretto» che finora è restato male approfondito e spiegato". Dal che si desume che il razzismo invece - pardon, "più pacatamente" la xenofobia - è stata pienamente spiegata e forse anche perdonata, giustificata e riabilitata. Quando penso che il più importante quotidiano italiano ha scomodato un accademico dalla sua torre d'avorio per scrivere queste panzane, mi viene il voltastomaco. Il modus operandi mi ricorda quando hanno rispolverato l'anziana Fallaci, ridotta ad insultare i tassisti newyorkesi dalle finestre di casa sua, per farcire quattro pagine del quotidiano. Il guaio, in questo paese, è che quando questi espertoni "sbroccano" - perché di questo si tratta - nessuno osa gridare "l'espertone è sbroccato". Diventa tutta una gara a chi risponderà il "più pacatamente" possibile alle panzane propinate, col risultato che non si riesce mai a qualificarle per quello che effettivamente sono.

Le panzane del Sartori, poi, sono impareggiabili: "la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integrabilità» dell’islamico". Non riesco ancora a credere che un accademico con il suo curriculum sia riuscito a scrivere una roba del genere. Poi si chiede se ci sono "casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici. La risposta è sconfortante: no". Immagino abbia vagliato l'esperienza umana di ogni singolo islamico dal 630 d.C fino al giorno d'oggi per trarre queste illuminanti conclusioni storiche. A sostegno di questa versione, viene imbastito in fretta e furia un pseudo-esempio storico, relativo all'India Moghul: "gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa ciosi, pacifici; e la maggio ranza è indù, e cioè poli teista capace di accoglie re nel suo pantheon di di vinità persino un Mao metto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventa re il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesi stenza in cagnesco finissero in un mare di sangue". Effettivamente migliaia di islamici sgozzati e bruciati vivi dai fondamentalisti indù, soprattutto negli ultimi anni, testimoniano questo grande spirito di tolleranza induista. Dopodiché si passa a "In ghilterra e Francia" che "si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritro vano con una terza generazione di giovani islami ci più infervorati e incatti viti che mai". E per forza: se anche da quelle parti ci sono espertoni che esortano l'opinione pubblica a non riconoscere la piena cittadinanza (e cioè non solo il pezzo di carta) a giovani nati e cresciuti in quei paesi, col risultato che questi ragazzi rimangono costantemente discriminati sul profilo sociale, economico ecc anche tre generazioni dopo l'arrivo dei loro genitori, non si può che diventare cattivi e infervorati.

Ma dove vuole arrivare l'editoriale di Giovanni Sartori? "Ora che la Ca mera dovrà pronun ciarsi sulla cittadi nanza e quindi, an che, sull’«italianizzazio ne» di chi, bene o male, si è accasato in casa no stra", illudersi di integrare l'islamico «italianizzan dolo» "è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischia re". Insomma: guai a riconoscere la cittadinanza agli islamici che si sono "accasati" da queste parti, anche se io preferisco "più pacatamente" ricordare che qui essi lavorano e pagano le tasse. Guai a riconoscerla ai loro figli, nati e cresciuti in questo paese. Guai a dare loro fiducia nella speranza che si "integreranno". Poi però non meravigliatevi se, tre generazioni dopo, questi diventano più infervorati e incattiviti che mai. D'altronde è quello che succede quando, per spiegare come si deve governare una società multietnica e globalizzata, a pochi giorni dall'inizio del 2010, viene chiamato a pronunciarsi con un articolo degno di uno studente delle medie un docente di sistemi politici nato nel terzo anno dell'era fascista. Che dire? Non è un paese per giovani, decisamente. Né di seconda, né tantomeno di terza generazione.


Fonte: http://salamelik.blogspot.com/2009/12/s ... paese.html


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Non poteva mancare proprio lei....l'hanno resuscitata per farle dire ciò che - di questi tempi - è importante dire per essere al fianco di Berlusconi e della Lega. Certo.
Perchè ogni paese ha le sue ragioni, ogni maggioranza ed ogni opposizione hanno le loro ragioni. Ognuno ha le sue ragioni per prendersela con qualcuno. E quale bocconcino migliore degli islamici.

Chi hanno resuscitato?
Lei, la pizia Oriana, naturalmente.
Assolutamente imperdibile la profezia sul Berlusconi ed i suoi "traditori":

Cita:
BERLUSCONI SARÀ TRADITO
Berlusconi qualcosa di buono, infondo, lo ha fatto. Non ha imitato il cinico populismo di Zapatero. In politica estera ha dimostrato d’aver più coraggio di quanto credessi quando lo accusai di non aver palle e gli buttai in faccia l’esempio di mia madre che fa a pezzi l’uomo dal quale s’è sentita dire Signora, domattina-alle-6-fucileremo-suo-marito. Ha anche frenato un po’ le orde dell’avanzata islamica, ripeto. E dulcis in fundo: la libertà ce l’ha mantenuta. Però so che i Maramaldi in grado d’ucciderlo non sono i suoi sgangherati avversari. Sono i suoi insinceri alleati. Gli omìni che in piazza Montecitorio vanno a spasso con l’opposizione. Che per un pugno di voti si sono montati la testa e lo pugnalano coi ricatti. Che per non tradirlo esigono nuove poltrone ministeriali. Lo uccideranno loro, sì.


Sarà l'islam lo strumento prediletto dai Ber-leghisti per contrastare aperture sulla cittadinanza?
Più terroristi e integralisti di loro non c'è nessuno.

Le profezie della pizia: http://www.ilgiornale.it/interni/islam_ ... comments=1


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DOPO L'EDITORIALE DI GIOVANNI SARTORI
I musulmani e i tempi dell'integrazione


di Tito Boeri

Caro Direttore,
dunque Giovanni Sartori ha deciso che gli immigrati di fede islamica non sono integrabili nel nostro tessuto sociale, non devono poter diventare cittadini italiani (Corriere del 20 dicembre, ndr). Non si tratta di un’affermazione di poco conto. Parliamo di circa un milione e mezzo di persone che oggi vivono in Italia.

Da cosa trae Sartori questa convinzione? Da un’analisi dei processi di integrazione degli immigrati di fede islamica in Paesi a più antica immigrazione? Si direbbe di no. Il 77 per cento dei maghrebini di seconda generazione immigrati in Francia ha sposato una persona di cittadinanza francese. Dichiarano di sentirsi francesi tanto quanto gli altri immigrati. In Germania un figlio di immigrato turco (al 90 per cento di religione islamica) ha la stessa probabilità di un figlio di immigrato italiano di sposarsi con una persona nata in Germania. Si identificano di più con il Paese che li ha accolti di quanto non facciano i figli dei nostri emigrati. Nel Regno Unito gli immigrati del Pakistan o del Bangladesh, le due più grandi comunità di fede islamica ivi presenti, si integrano allo stesso modo degli indiani, dei caraibici e dei cinesi. Si sentono britannici e parte del Regno Unito più degli immigrati di fede cristiana, anche se mantengono la loro religione. Si integrano economicamente e socialmente, nel lavoro, sposandosi con persone del Paese che li accoglie e parlando a casa l’inglese, indipendentemente da quanto spesso vadano in moschea, da quanto siano devoti all’Islam. Ritengono di poter essere al tempo stesso britannici e musulmani. Si sbagliano forse?

Pensa Sartori, come quei sindaci leghisti che si battono contro la costruzione di moschee nelle loro città, che chi nasce in Italia, studia, lavora e paga le tasse da noi, per diventare italiano debba abbandonare la fede islamica? Non voglio certo negare che ci sia un problema di integrazione degli immigrati in generale e dei musulmani in particolare. Ma trattare di questi problemi con superficialità, alimentando pregiudizi tanto diffusi quanto lontani dalla realtà non aiuta certo a risolverli. Impedire poi ai musulmani di praticare la loro religione da noi, a differenza di quanto avviene in Paesi che da decenni ospitano grandi comunità di fede islamica, e precludere loro a priori la cittadinanza italiana, serve solo ad allungare i tempi dell’integrazione.


Fonte: http://www.corriere.it/politica/10_genn ... aabe.shtml


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IL DIBATTITO
Una replica ai pensabenisti sull'Islam

di Giovanni Sartori

Il mio editoriale del 20 dicembre «La integrazione degli islamici» resta attuale perché la legge sulla cittadinanza resta ancora da approvare (alla Camera). Nel frattempo altri ne hanno discusso su questo giornale. Tra questi il professor Tito Boeri mi ha dedicato (Corriere del 23 dicembre) un attacco sgradevole nel tono e irrilevante nella sostanza. Il che mi ha spaventato.

Se Boeri, che è professore di Economia del lavoro alla Bocconi e autorevole collaboratore di Repubblica, non è in grado di capire quel che scrivo (il suo attacco ignora totalmente il mio argomento) e dimostra di non sapere nulla del tema nel quale si spericola, figurarsi gli altri, figurarsi i politici.

Il Nostro esordisce così: «Dunque Sartori ha deciso che gli immigrati di fede islamica non sono integrabili nel nostro tessuto sociale, non devono poter diventare cittadini italiani». In verità il mio articolo si limitava a ricordare che gli islamici non si sono mai integrati, nel corso dei secoli (un millennio e passa) in nessuna società non-islamica. Il che era detto per sottolineare la difficoltà del problema. Se poi a Boeri interessa sapere che cosa «ho deciso», allora gli segnalo che in argomento ho scritto molti saggi, più il volume «Pluralismo, Multiculturalismo e Estranei» (Rizzoli 2002), più alcuni capitoletti del libriccino «La Democrazia in Trenta Lezioni » (Mondadori, 2008).

Ma non pretendo di affaticare la mente di un «pensabenista», di un ripetitore rituale del politicamente corretto, che perciò sa già tutto, con inutili letture. Mi limiterò a chiosare due perle del suo intervento. Boeri mi chiede: «Pensa Sartori che chi nasce in Italia, studia, lavora e paga le tasse per diventare italiano debba abbandonare la fede islamica?». Ovviamente non lo penso. Invece ho sempre scritto che le società liberal- pluralistiche non richiedono nessuna assimilazione. Fermo restando che ogni estraneo (straniero) mantiene la sua religione e la sua identità culturale, la sua integrazione richiede soltanto che accetti i valori etico-politici di una Città fondata sulla tolleranza e sulla separazione tra religione e politica. Se l’immigrato rifiuta quei valori, allora non è integrato; e certo non diventa tale perché viene italianizzato, e cioè in virtù di un pezzo di carta. Al qual proposito l’esempio classico è quello delle comunità ebraiche che mantengono, nelle odierne liberaldemocrazie, la loro millenaria identità religiosa e culturale ma che, al tempo stesso, risultano perfettamente integrate nel sistema politico nel quale vivono.

Ultima perla. Boeri sottintende che io la pensi come «quei sindaci leghisti» eccetera eccetera. No. A parte il colpo basso (che non lo onora), la verità è che io seguo l’interpretazione della civiltà islamica e della sua decadenza di Arnold Toynbee, il grande e insuperato autore di una monumentale storia delle civilizzazioni (vedi Democrazia 2008, pp. 78-80). Il mio pedigree di studioso è in ordine. È quello del mio assaltatore che non lo è.

Il Corriere ha poi pubblicato il 29 dicembre le lettere di due lettori i quali, a differenza del professor Boeri, hanno capito benissimo la natura e l’importanza del problema che avevo posto, e che chiedevano lumi a Sergio Romano. Ai suoi «lumi» posso aggiungere il mio? Romano, che è accademicamente uno storico, fa capo alle moltissime variabili che sono in gioco, ai loro molteplici contesti, e pertanto alla straordinaria complessità del problema. D’accordo. Ma nelle scienze sociali lo studioso deve procedere diversamente, deve isolare la variabile a più alto potere esplicativo, che spiega più delle altre. Nel nostro caso la variabile islamica (il suo monoteismo teocratico) risulta essere la più potente. S’intende che questa ipotesi viene poi sottoposta a ricerche che la confermano, smentiscono e comunque misurano. Ma soprattutto si deve intendere che questa variabile «varia», appunto, in intensità, diciamo in grado di riscaldamento.

Alla sua intensità massima produce l’uomo- bomba, il martire della fede che si fa esplodere, che si uccide per uccidere (e che nessuna altra cultura ha mai prodotto). Diciamo, a caso, che a questo grado di surriscaldamento, di fanatismo religioso, arrivano uno-due musulmani su un milione. Tanto può bastare per terrorizzare gli infedeli, e al tempo stesso per rinforzare e galvanizzare l’identità fideistica (grazie anche ai nuovi potentissimi strumenti di comunicazione di massa) di centinaia di milioni di musulmani che così ritrovano il proprio orgoglio di antica civiltà.

Ecco perché, allora, l’integrazione dell’islamico nelle società modernizzate diventa più difficile che mai. Fermo restando, come ricordavo nel mio fondo e come ho spiegato nei miei libri, che è sempre stata difficilissima.


Fonte: http://www.corriere.it/politica/10_genn ... aabe.shtml


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MessaggioInviato: 07 gen 2010, 16:49 
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NOI E L’ISLAM
Il pluralismo valorizza la diversità
No al multiculturalismo ideologico


A quanto pare il tema della cittadinanza agli islamici è sentito. Il Corriere ha selezionato ieri 11 lettere, ricavate da un totale di quasi 450 accolte su 23 pagine di Internet. Ne ignoro la distribuzione. Ma un mio amico ha calcolato che più della metà di queste lettere sono a mio favore, e che le altre sono per lo più divagazioni ondeggianti tra il sì e il no. Grazie a tutti, anche perché ho così modo di estendere il discorso (seppure complicandolo un po’).

Primo.
Non si deve confondere tra il multiculturalismo che esiste in alcuni Paesi, che c’è di fatto, e il multiculturalismo come ideologia, come predicazione di frammentazione e di separazione di etnie in ghetti culturali. Per esempio la Svizzera è oggi, di fatto, un Paese multiculturale che funziona bene come tale, anche se il lieto fine ha richiesto addirittura una guerra intestina. Invece Belgio e Canada sono oggi due Paesi bi-culturali in difficoltà, specie il primo. Anche la felix Austria fu, sotto gli Asburgo, un grande Stato multiculturale che però si è subitamente disintegrato alla fine della prima guerra mondiale. Comunque, i casi citati sono o sono stati multiculturali di fatto. Il multiculturalismo ideologico di moda è invece una predicazione che distrugge il pluralismo e che va perciò combattuta.

Secondo.
Contrariamente a quanto scritto da alcuni lettori, è il pluralismo che valorizza e pregia la diversità. Ma una diversità fondata su cross-cutting cleavages, su affiliazioni e appartenenze che si incrociano, che sono intersecanti, e non, come nel caso dell’ideologia multiculturale, da affiliazioni coincidenti che si cumulano e rinforzano l’una con l’altra. Pertanto è sbagliato, sbagliatissimo, raccontare che ormai viviamo tutti in società multiculturali, e che questo è inevitabilmente il nostro destino. Invece sinora viviamo quasi tutti, nell’Occidente, in società pluralistiche in grado di assorbire e di gestire al meglio l’eterogeneità culturale. Attenzione, allora, a non attribuire al multiculturalismo pregi che sono invece del pluralismo.

Terzo.
Un’altra confusione da evitare è tra conflitti religiosi e conflitti etnici. Questi ultimi sono purtroppo eterni e ricorrenti. Lo sono anche, tra l’altro, all’interno del mondo musulmano. Per esempio gli iraniani sono etnicamente persiani, non arabi; e la comune fede islamica non ha impedito, di recente, una sanguinosissima guerra tra l’Iraq di Saddam Hussein e l’Iran degli ayatollah. Le religioni possono invece coesistere pacificamente ignorandosi l’una con l’altra. Si combattono quando sono «calde», invasive, fanatizzate; non altrimenti.

Quarto.
Qual è il vero Islam? Gli intellettuali musulmani accasati in Occidente si affannano quasi tutti a spiegare che non è quello propagandato dai fondamentalisti. Anche io ho letto, ovviamente, il Corano, che è simile all’Antico Testamento nel suggerire tutto e il suo contrario. Ma il fatto è che gli islamisti contrari al fondamentalismo hanno voce e peso soltanto con gli occidentali. Il diritto islamico viene stabilito, nei secoli, dai dottori della legge, gli ulama. Sono loro a stabilire quali sono, o non sono, gli sviluppi conformi alla dottrina coranica; e anche in Occidente il comportamento dei fedeli è dettato, ogni venerdì, nella moschea dal discorso del Khateb che accompagna la preghiera pubblica. La moschea, si ricordi, non è solo un luogo di culto, una chiesa nel nostro significato del termine, è anche la città-Stato dei credenti, la loro vera patria.

Quinto.
I rimedi. Tutti si chiedono quali siano, eppure sono ovvi. È stato il bombardamento del «politicamente corretto» che ce li ha fatti dimenticare o dichiarare superati. A suo tempo i tedeschi accolsero milioni di turchi come «lavoratori ospiti»; noi avevamo e abbiamo i permessi di soggiorno a lunga scadenza; gli Stati Uniti concedono agli stranieri la residenza permanente. Sono tutte formule che si possono, se e quando occorre, migliorare e «umanizzare». Ma sono certo preferibili alla creazione del cittadino «contro-cittadino» che, una volta conseguita la massa critica necessaria, crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee. Non dico che avverrà; ma se il fondamentalismo si consolida, potrebbe avvenire. È un rischio che sarebbe stupido correre. O almeno a me così sembra.

Giovanni Sartori
07 gennaio 2010


Fonte: http://www.corriere.it/editoriali/10_ge ... aabe.shtml


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dal blog di Sherif El Sebaie

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Sartori. Il pedigree di un vecchio professorone.

Giovanni Sartori, l'ultimo (si fa per dire) dei Vecchi Saggi regolarmente rispolverati dal Corriere per scrivere fregnacce sull'Islam, si è un po' risentito per essere stato ridicolizzato da una caterva di studiosi ed esperti molto più competenti di lui in materia. Al suo editoriale (sic) sull'"integrabilità degli islamici" hanno risposto infatti un po' tutti, in rete e non, e il bilancio era decisamente negativo per il vecchio professorone: non ne ha azzeccata neanche una, poveraccio. Marco Restelli, indianista e Lorenzo Declich, islamologo, gli hanno fatto letteralmente le pulci sui rispettivi blog, in particolare sui fatti storici da lui indicati come fondamenta del proprio ragionamento. Anche un brillante studente in relazioni internazionali, "nato in India, acculturato in Italia e soggiornante con cedolino" (come scrive lui), lo ha sbugiardato.

Sul Corriere, invece, Tito Boeri lo ha smentito sull'attualità, ricordandogli che "Il 77 per cento dei maghrebini di seconda generazione immigrati in Francia ha sposato una persona di cittadinanza francese" e che milioni di turchi vivono in Germania senza creare problemi. Purtroppo, Boeri ha replicato a Sartori secondo le modalità da me stigmatizzate a caldo quando scrissi: "Il guaio, in questo paese, è che quando questi espertoni "sbroccano" - perché di questo si tratta - nessuno osa gridare "l'espertone è sbroccato". Diventa tutta una gara a chi risponderà il "più pacatamente" possibile alle panzane propinate, col risultato che non si riesce mai a qualificarle per quello che effettivamente sono". Boeri non ha messo in luce gli strafalcioni del Sartori e non li ha argomentati. Si è solo limitato a porre domande generali, seppur di buon senso, lasciando al Sartori il compito di citare - a vanvera e persino sbagliando di nuovo - opere ed autori. Il che ha permesso a Sartori di fare la figura del dotto accademico e a Boeri quella del "«pensabenista», un ripetitore rituale del politicamente corretto, che perciò sa già tutto", come lo ha apostrofato Sartori stesso.

Questo tipo di risposta, con personaggi come Sartori, abituati a gridare slogan e a fare i capi-popolo, normalmente non funziona. Boeri è stato infatti ferocemente attaccato dal Sartori, che replica: "Il mio pedigree di studioso è in ordine. È quello del mio assaltatore che non lo è", "Se Boeri, che è professore di Economia del lavoro alla Bocconi e autorevole collaboratore di Repubblica, non è in grado di capire quel che scrivo, e dimostra di non sapere nulla del tema nel quale si spericola, figurarsi gli altri, figurarsi i politici." Quindi Sartori si arrampica sugli specchi, e si trincera dietro le scienze sociali per evitare di riflettere sulle "moltissime variabili che sono in gioco, ai loro molteplici contesti, e pertanto alla straordinaria complessità del problema. D’accordo. Ma nelle scienze sociali lo studioso deve procedere diversamente, deve isolare la variabile a più alto potere esplicativo, che spiega più delle altre. Nel nostro caso la variabile islamica (il suo monoteismo teocratico) risulta essere la più potente".

Ma pensa te...Ma uno studioso "con pedigree" non dovrebbe studiare appunto le variabili e rendere manifesta ai profani la complessità dei problemi che tratta? Oppure si deve limitare a cavalcare la vox populi e accontentare i lettori de La Padania? Che brutto modo di buttare alle ortiche un'onorata carriera accademica...Come ha giustamente scritto sul Messaggero Corrado Giustiniani: "Stiamo freschi se anche le intelligenze più lucide di questo paese perdono improvvisamente la brocca e, invece di proporre soluzioni, preferiscono sparare giudizi di pancia e diffondere veleni ai quattro venti". Il problema è che io dubito fortemente che Sartori, nato nell'anno in cui è stato esiliato l'ultimo Sultano di Istanbul, sia lucido. Cosa dire della chiusa della sua replica, per esempio? "Alla sua intensità massima (L'Islam monoteista, ndr) produce l’uomo-bomba, il martire della fede che si fa esplodere, che si uccide per uccidere (e che nessuna altra cultura ha mai prodotto)". Ma Kamikaze non era un termine giapponese, caro studioso dall'impeccabile pedigree?

Il problema, però, non è Sartori, la sua arroganza e la sua isteria di vecchio professorone. Il problema è che uno come Sartori si è ben guardato dal rispondere agli studiosi di orientalistica che hanno scoperto errori ed orrori persino nella sua replica, a partire dai titoli e dagli autori dei saggi da lui citati. Questo dovrebbe far riflettere sulla condizione in cui sono costretti fior fior di orientalisti e islamologhi italiani. Studi, lauree, dottorati e specializzazioni in materia e alla fine chi chiamano a parlare di "cose islamiche" sul più importante quotidiano del paese? Un politologo, un professore di economia del lavoro, una romanziera latitante, un Magdi Allam...Che tristezza. Cari orientalisti, sveglia. Avete perso quasi dieci anni di tempo, da quando l'Islam è diventato di moda, nel 2001. Quanto tempo avete ancora intenzione di perdere prima di occupare il posto che vi spetta in questo paese?


Fonte: http://salamelik.blogspot.com/2010/01/s ... cchio.html


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L'Italia e l'islam: convivenza possibile?

Beppe Severgnini,

«L'Italia di chi è? Degli italiani o degli islamici?». «Il concetto fallaciano secondo cui non esiste Islam moderato trova sempre più conferma». «L'Islam è moderato fin quando non accendi la miccia. Allora secoli di frustrazione anti-occidentale esplodono pervasi di rancore, rivincita, odio e violenza».
Questi i commenti che arrivano a "Italians", luogo tollerante. Questa l'ansia che gira e l'aria che tira, nel traballante inizio degli anni Dieci. Questa la discussione sul "Corriere" tra Giovanni Sartori e Tito Boeri. Il primo - non un conservatore - sostiene che l'integrazione degli islamici è impossibile. Il secondo - non un terzomondista - ribatte: «Pensa Sartori che chi nasce in Italia, studia, lavora e paga le tasse da noi, per diventare italiano debba abbandonare la fede islamica?». Discussioni dure? Discussioni utili. Esiste incompatibilità tra la società aperta occidentale e una cultura, quella islamica, che spesso subordina la legge alla fede? Oriana Fallaci la pensava così. L'orgoglio è stato un suo merito; la rabbia, il suo limite. Quattordici milioni di francesi, tedeschi, britannici, olandesi, spagnoli e italiani sono di religione islamica. Insultarli non è giusto e non conviene; mandarli via non si deve e non si può.
Proviamo invece a ragionare di loro e con loro.
Sartori scrive: «Ci sono casi, dal 630 d. C in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica in società non islamiche? La risposta è sconfortante: no». Be', a me viene in mente un Paese dove l'esperimento è riuscito, e Vanni Sartori dovrebbe saperlo perché ci abita: gli Usa. Certo, i problemi ci sono (la sparatoria di Fort Hood, in novembre). Ma gli attentatori dell'11 settembre erano venuti da fuori. E le stragi americane sono quasi sempre opera di cristiani (?) col mitragliatore, non dei figli dei taxisti pakistani di New York. Certo, un problema esiste. Nessuno ha dimenticato la storia di Hina Saleem - nata in Pakistan, emigrata in Italia a quattordici anni, uccisa dai famigliari perché voleva vivere all'italiana. Non facciamo gli ipocriti: le democrazie, nei limiti del possibile, si scelgono gli immigrati (lo fanno gli Usa e la Nuova Zelanda, il Canada e l'Australia); se siamo convinti che certe culture siano poco integrabili, regoliamoci di conseguenza. Ma evitiamo l'emotività - porta solo confusione. Dice bene, Francesco Rutelli: «il multiculturalismo è una strada senza uscita» (Il Giornale, 5 gennaio). Ma dovrebbe sapere che il progetto italiano non è quello. Saremo - siamo già - multietnici (che è un'altra cosa); e veniamo da ventotto secoli di diritto romano, venti di cristianesimo, sedici d'invasioni, tre d'illuminismo e mezzo di Costituzione e televisione. Se qualcuno pensa che la sua religione gli consenta d'ignorare questo, sbaglia; e va accompagnato alla porta. Quelli che stanno ai patti devono poter diventare cittadini italiani. Conviene a loro, conviene a noi.


Fonte: http://www.corriere.it/solferino/severg ... -07/01.spm


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MessaggioInviato: 07 gen 2010, 17:56 
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Vi invito a leggere l'ultima perla del professore (che riporto qui sopra), fresca di giornata. Si rimangia (quasi) tutto, ridimensiona quanto bofonchiato nelle precedenti filippiche ma non demorde su un punto, che secondo me è il fulcro del suo discorso e della tempistica con cui è apparso sul Corriere della Sera: ovvero, la cittadinanza ai musulmani non va data (o meglio, in generale non bisogna fare aperture sulla cittadinanza).

Il suo ultimo pezzo è, secondo me, ancora più pericoloso dei precedenti, proprio perchè "sa di ritirata" (interpretabile come un mea culpa, e in grado di rendere digeribile anche le precedenti dosi) e di ridimensionamento.
Se la prima parte e quella centrale sono condivisibili, nei "rimedi" il Sartori non arretra d'un passo e ribadisce la sua contrarietà alla cittadinanza ai musulmani!!!
Come? Leggiamo bene:
Cita:
I rimedi. Tutti si chiedono quali siano, eppure sono ovvi. È stato il bombardamento del «politicamente corretto» che ce li ha fatti dimenticare o dichiarare superati. A suo tempo i tedeschi accolsero milioni di turchi come «lavoratori ospiti»; noi avevamo e abbiamo i permessi di soggiorno a lunga scadenza; gli Stati Uniti concedono agli stranieri la residenza permanente. Sono tutte formule che si possono, se e quando occorre, migliorare e «umanizzare». Ma sono certo preferibili alla creazione del cittadino «contro-cittadino» che, una volta conseguita la massa critica necessaria, crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee. Non dico che avverrà; ma se il fondamentalismo si consolida, potrebbe avvenire. È un rischio che sarebbe stupido correre. O almeno a me così sembra.


Le formule utilizzate in Germania, negli Usa e quelle vigenti in Italia (che considerano gli immigrati come immigrati, fino ad un tempo indefinito), sono certamente "umanizzabili", ma sono da preferire al cittadino-contro-cittadino (il gioco di parole ha un doppio significato), e cioé, è meglio che siano immigrati contro cittadini che cittadini contro cittadini, perché gli immigrati non potranno fare massa critica e votare il partito islamico.
Non dice che avverrà , ma potrebbe avvenire.
Il Sartori sta fantasticando, io direi che sta vaneggiando. Certo, nessun scenario è inverosimile, ma non per questo OGNI scenario merita d'esser preso seriamente, portato all'ordine del giorno come emergenza e priorità su tutti gli altri catastrofici scenari possibili!

I musulmani (anche ) in questo caso sono il pretesto - il migliore offerto sul mercato della paura - per osteggiare aperture sulla cittadinanza.


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MessaggioInviato: 04 feb 2010, 20:19 
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Cita:
Y A L L A I T A L I A

IL MENSILE DELLE SECONDE GENERAZIONI

CARO SARTORI, DAVVERO TI FACCIAMO TANTA PAURA?


Il professore ha profetizzato sul Corriere che l'Italia avrà a che fare
«con una generazione di giovani islamici più inferociti e incattiviti
che mai». I giornalisti di Yalla Italia hanno voluto tranquillizzare lui
e i suoi lettori. Perché la realtà è molto diversa. E l'integrazione è molto
più avanti di quanto possa sembrare dalle pagine dei giornali. Pure tra
difficoltà e contrasti. Il vero pericolo sono i verdetti mediatici...



Cita:
LA PIGRIZIA INTELLETTUALE DI CHI CHIUDE LE PORTE ALLA REALTÀ

DI PAOLO BRANCA

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di
un grande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per
molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il
tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala vip
per stare più tranquilla. Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e
dall’altro lato un giovane di colore che stava leggendo il giornale. Quando
cominciò a prendere il primo biscotto, anche il giovane ne prese uno; lei
si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro. Tra
lei e lei pensò: «Ma tu guarda che schifo, che arroganza, che
maleducazione… se solo avessi un po’ più di coraggio, gliene direi
quattro, tornatene al tuo Paese, prima di viaggiare impara ad essere
civile...». Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, il giovane di colore
accanto a lei, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui.
Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò:
«Ah, adesso voglio proprio vedere cosa farà…!». Il giovane di colore,
prima che lei prendesse l’ultimo biscotto, lo divise a metà! «Ah, questo è
troppo», pensò e cominciò a sbuffare ed indignata si alzò di scatto,
borbottò a bassa voce «I cafoni dovrebbero restare a casa», prese le sue
cose, il libro e la borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa.
Quando si sentì un po’ meglio e la rabbia era passata, si sedette su una
sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l’attenzione e per evitare
altri incontri spiacevoli. Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro
quando... nell’aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora
tutto intero nel suo interno. Capì solo allora che il pacchetto di biscotti
uguale al suo era del giovane di colore che si era seduto accanto a lei e che
però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, schifato,
nervoso. Al contrario di lei che aveva sbuffato, ma che ora si sentiva
sprofondare nella vergogna...».
«U Intendiamoci, di bianchi, neri e gialli maleducati ce ne sono a
bizzeffe, ma non c’è alcuna relazione col colore della pelle, con la lingua,
l’etnia, la fede religiosa… Lo dice il buonsenso, ancor prima di questa
storiella (forse apocrifa) che sta girando su Facebook. Lo dice soprattutto
l’esperienza, quella che si fa con le persone in carne ed ossa, non ciò che si
crede di sapere leggendo i libri e i giornali.
La realtà spesso ci spiazza, perché è già oltre ogni nostra
immaginazione. Ali Hassoun, pittore italo-libanese, musulmano sciita,
dipingerà il drappellone del prossimo Palio di Siena. Sempre più ragazze
musulmane si sposano con italiani che non si convertono all’islam.
Giovani di ogni razza e colore si danno da fare per migliorare la società
impegnandosi nel volontariato. Un’associazione islamica esprime il suo
rammarico per le violenze di cui sono stati fatti oggetto i cristiani
egiziani…
Buone notizie dal fronte occidentale, ma roba da intenditori, da
ricercatori certosini, cose che non passano il muro dell’ignoranza,
dell’indifferenza, della stolida pigrizia con cui continuiamo a dividerci per
categorie, a chiuderci in gabbie precostituite, a negare spazio alla
speranza.
Eventi ben più epocali ci hanno spaventato di meno: dalle invasioni
barbariche ai Borgia, dall’inquisizione alla strage degli ugonotti…
evidentemente il benessere ci ha infiacchiti, addirittura un po’ instupiditi,
com’era stato del resto ampiamente previsto: il grande poeta T. S. Eliot
già nel 1925 profetizzava «è questo il modo in cui finisce il mondo. Non
già con uno schianto ma con un piagnisteo».
Con buona pace del professor Giovanni Sartori che dalle colonne del
Corriere della Sera pontifica sull’impossibilità dell’integrazione dei
musulmani, geneticamente alieni a suo dire, e profetizza disastri nel caso
venissero “italianizzati”: fortunatamente il mondo continua a girare e a
svilupparsi anche contro il parere di certi “esperti” che per ricredersi
basterebbe venissero a trovarci almeno una volta in redazione.



Scarica il pdf: http://www.yallaitalia.it/numeri/yalla_feb10.pdf


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