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MessaggioInviato: 27 ott 2009, 00:07 
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Nota di Guglielmo Loy, Segr. Conf. UIL
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Roma, 20 ottobre 2009 - Come già per la riforma della cittadinanza, anche sul diritto di voto un gruppo trasversale di parlamentari ha presentato una proposta di legge volta a concedere il diritto di partecipare alle elezioni amministrative per gli stranieri regolari, che lavorano e vivono nel nostro Paese da almeno cinque anni. La Uil è molto favorevole a questa iniziativa che va al di là degli schieramenti di maggioranza ed opposizione e metterà in campo tutte le iniziative necessarie (seminari di confronto, raccolta firme, appelli a governo e parlamento) volte ad appoggiare ed accelerare l’iter delle riforme sui diritti di cittadinanza degli stranieri residenti e dei loro figli nati o venuti piccolissimi in Italia. Siamo convinti che l’immigrazione è una grande risorsa e che può diventare un problema solo quando non viene governata (com’è purtroppo spesso successo negli ultimi anni) e quando si ostacola il processo di integrazione tra le molte culture che ormai compongono la società italiana. Siamo anche convinti che grandi riforme come queste sui diritti di cittadinanza non si possano realizzare attraverso lo scontro tra gli schieramenti sociali e politici ma, al contrario, questo cammino può essere intrapreso proficuamente solo attraverso il dialogo ed il confronto tra tutti gli attori politici e sociali interessati.

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Diritti di cittadinanza
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Presentata proposta di legge bi-partisan per diritto di voto agli immigrati residenti da 5 anni

(redazionale) Roma, 20/10/09 – Com’era già accaduto per la cittadinanza, anche sul voto agli immigrati sono possibili (anzi necessarie) intese trasversali. E’ quello che è successo ieri alla Camera con la presentazione di una proposta di legge che intende concedere il voto alle elezioni amministrative ai cittadini extra UE regolarmente residenti in Italia da almeno 5 anni. Primi firmatari della proposta di legge bipartisan sono Walter Veltroni (Pd), Flavia Perina (Pdl), Roberto Rao (Udc), Leoluca Orlando (IdV), Salvatore Vassallo (Pd). Il nuovo dispositivo, se approvato, introdurrebbe l’elettorato attivo e passivo al voto amministrativo per i cittadini per i cittadini stranieri che risiedono da lungo tempo nel nostro Paese. "L’approvazione del progetto costituirebbe un primo passo concreto per promuovere l’integrazione di persone che in molti casi già partecipano pienamente alla vita civile delle comunità locali in cui risiedono - spiegano i promotori - sono rispettose delle relative consuetudini, lavorano con dedizione, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola con i bambini italiani, condividono con i cittadini italiani le stesse esigenze e gli stessi problemi connessi alla fruizione dei servizi pubblici". "La presentazione congiunta del progetto da parte di esponenti di diversi gruppi dimostra che su questi temi è possibile, oltre che necessario, un confronto tra tutte le forze politiche nazionali" concludono. A partire da domani verranno raccolte ulteriori adesioni e nei prossimi giorni si terrà una conferenza stampa per esporre il contenuto del progetto. La proposta di legge rischia di diventare comunque un problema per la maggioranza parlamentare. Da parte della Lega Nord, infatti, è arrivato un immediato stop: "La Lega - dice Luciano Dussin, vicepresidente vicario del gruppo alla Camera - non si presterà a giocare partite truccate come queste, perchè rispettosa da sempre dei programmi elettorali che ha sottoscritto con il proprio elettorato". Secondo il parlamentare, i firmatari della proposta di legge "un effetto lo hanno già ottenuto": "E' quello - dice Dussin - di dimostrarsi sempre più lontani dalle esigenze reali del Paese". Roberto Cota, presidente dei deputati della Lega Nord, rincara la dose: ''La cittadinanza facile, il diritto di voto ai non cittadini e l'ora di religione islamica sono proposte sbagliate ed in contrasto con i principi che ispirano il programma della maggioranza", ha dichiarato. In un momento come questo la gente non si aspetta confusione, ma risposte chiare ai bisogni concreti delle famiglie e delle imprese. A livello di governo e di maggioranza - ha concluso Cota - si sta lavorando bene proprio perchè si danno queste risposte”. L’iniziativa, fa il paio con un’altra proposta bipartisan presentata lo scorso 30 luglio in materia di cittadinanza dal deputato del Pd Andrea Sarubbi e dal collega del Pdl Fabio Granata. Il testo, che è attualmente in fase di esame alla Camera presso la I° Commissione, guarda alle seconde generazioni, dando molto più peso allo ius soli, e dimezza i tempi per le naturalizzazioni se sussistono determinate “garanzie” di integrazione. Secondo questa proposta, sarebbe subito italiano chi nasce qui se la madre o il padre è legalmente in Italia da almeno cinque anni, e diventerebbe italiano il minore che completa almeno un ciclo di studi in Italia. Cittadinanza anche per chi è arrivato in Italia quando aveva al massimo cinque anni e vi ha risieduto legalmente fino alla maggiore età. Gli stranieri adulti potrebbero invece acquistare la cittadinanza dopo cinque anni di residenza legale. Dovrebbero però avere un reddito non inferiore a quello richiesto per il permesso da lungo soggiornanti (per il 2009 di 5.317,65 euro) , una conoscenza di base dell’italiano parlato e una conoscenza soddisfacente della vita civile e della costituzione italiana. La sfida della Sarubbi-Granata sarà raccogliere appoggi trasversali in Parlamento, superando i veti della Lega. Leggi il testo della pdl sulla cittadinanza: http://www.uil.it/immigrazione/cittadinanza-rif09.htm Il testo della proposta sul voto verrà messo a disposizione il prima possibile.

Niente voto, niente tasse? Intanto da Venezia arriva una proposta/provocazione da parte del sindaco filosofo Massimo Cacciari: “Fino a quando gli immigrati non avranno diritto di voto in Italia 'dovrebbero rifiutarsi di pagare le tasse”. Lo ha sostenuto il sindaco di Venezia, in occasione della manifestazione <Mestrini nel mondo>. “Chi lavora e paga le tasse - ha aggiunto - deve anche eleggere i propri rappresentanti: e' un problema che qualunque governo serio si dovrebbe porre” “Niente tasse senza rappresentanza - ha detto poi il sindaco della città lagunare, come riportano oggi le cronache locali - qualsiasi liberale in questo Paese deve fare proprio questo slogan”. Cacciari si e' dichiarato d'accordo con la proposta del presidente della Camera Gianfranco Fini di concedere la cittadinanza agli immigrati in tempi più brevi degli attuali, rilevando che la questione, “pur non riguardando l'ente locale”, deve essere appoggiata da tutti in maniera trasversale. Per favorire l'integrazione, secondo il sindaco, e' indispensabile “puntare sulla scuola, finendola con le riforme di piccola ingegneria”.

Diritti per i figli dei migranti - Sempre ieri, è stata depositata alla Camera la proposta di legge, a firma della deputata pd Luisa Bossa[/b], per estendere i diritti degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia con carta di soggiorno anche ai loro figli maggiorenni.[b] "La mia proposta di legge - dice Bossa - ha come obiettivo quello di sanare una odiosa discriminazione della nostra legislazione. I figli degli stranieri in possesso della Carta di soggiorno, al compimento del diciottesimo anno d'età, vedono ristretti i loro diritti e potrebbero scivolare nella clandestinità. Questi ragazzi - sottolinea Bossa - hanno passato gran parte della loro vita in Italia, hanno studiato qui, ma al compimento dei diciotto anni perdono alcuni diritti collegati allo status dei genitori" e se non studiano o non trovano un lavoro rischiano di diventare clandestini.

Sanatoria non solo per badanti - Un'altra proposta in tema di immigrazione è stata presentata dal Partito radicale nel corso di un presidio con oltre tremila immigrati organizzato a Roma per chiedere una sanatoria per tutti gli immigrati che hanno un lavoro e che sono rimasti esclusi dalla regolarizzazione per il lavoro domestico: "Abbiamo proposto una legge - ha detto Emma Bonino, vicepresidente del Senato -, firmata sia dalla destra che dalla sinistra, per regolarizzare chiunque abbia un lavoro. Non è lo Stato che deve decidere se legalizzare chi fa un mestiere o no. L'impegno è che la legge venga calendarizzata. Non sarà facile, perchè questo è un periodo in cui non prevale la ragione ma altro, come i calcoli elettorali". Per favorire l'approdo in aula della proposta, i radicali chiedono un incontro con il presidente della Camera, Gianfranco Fini.

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Approfondimenti
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Diritti di cittadinanza e immigrazione: alcuni aspetti rilevanti

(di Marco Poledrini, L’altro diritto)

Il capitolo del Trattato C.E. relativo alla "cittadinanza dell'Unione" definisce la cittadinanza europea prevedendo l'attribuzione ai cittadini di alcuni diritti, fra cui la capacità elettorale, attiva e passiva, sia alle elezioni locali che quelle europee. La nuova disciplina mette in discussione aspetti importanti della sovranità nazionale in relazione sopratutto alle attuali dimensioni e significato del diritto di cittadinanza. Da sempre collegato al concetto di sovranità, infatti, lo status di cittadino è stato inteso storicamente come attribuzione esclusiva di diritti opponibili a chiunque abbia una diversa nazionalità, secondo un modello statalista teso a privilegiare le singole identità nazionali. Accanto a questa definizione, tuttavia, vi è sempre stata un'interpretazione parallela per la quale ogni cittadino è titolare di diritti universali. Questa seconda concezione, definita modello societario, identifica la cittadinanza con la partecipazione dell'individuo al destino della comunità in cui vive. In questa prospettiva gli stranieri possono vedere attenuate le differenze tra la loro condizione e quella dei cittadini formali, ottenendo pari opportunità e il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali. La legge che disciplina l'attribuzione della cittadinanza in Italia è la nº 91 del 1992 che ha riformato la precedente normativa in vigore dal lontano 1912. Pur non essendo trascorsi molti anni dalla sua pubblicazione, questa legge risulta già inadeguata e deficitaria. La sua nascita è difatti legata ad una visione parziale e per nulla lungimirante del fenomeno migratorio, in linea con quanto aveva espresso la legge Martelli, approvata solo qualche anno prima. Agli inizi degli anni 90, non era stato affatto compreso come la crescita della presenza straniera e la sua stabilizzazione nel contesto demografico italiano fosse un dato inevitabile. La legge riafferma infatti il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, efficace sia da parte del padre che da quella della madre. Come nella normativa precedente l'acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. Viene inoltre confermata la comunicazione reciproca tra i coniugi della propria cittadinanza, recepita già dalla legge nº 123 del 1983 e viene introdotta la possibilità di possedere la doppia cittadinanza. L'acquisto della cittadinanza per beneficio di legge avviene tanto attraverso ius sanguinis che ius soli, in ambedue i casi ai due principi deve unirsi la volontà della persona interessata. L'art. 4 richiede infatti la manifestazione di volontà sia nell'ipotesi di acquisto da parte di persone nate all'estero ma figli di cittadini, sia da parte di persone nate in Italia ma figli a loro volta di non cittadini. L'ipotesi della nascita del territorio è però sottoposta a condizioni più rigorose rispetto alla legge del 1912, soprattutto in tema di residenza legale che deve essere ininterrotta fino al raggiungimento della maggiore età. Un più stretto rigore rispetto al passato caratterizza anche la norma relativa alla naturalizzazione ordinaria, per la quale l'art. 9 richiede allo straniero extracomunitario una residenza di ben dieci anni a differenza dei cinque prima previsti. Il principio dello ius sanguinis, rafforzato in questa legge, è stato ereditato direttamente dalla legislazione civile dell'Italia preunitaria e poi riaffermato dalla prima legge organica sulla cittadinanza che era appunto quella del 1912. Esso è storicamente collegato al principio di nazionalità e costituiva uno strumento di conservazione dell'identità nazionale in uno Stato che, a causa della sua difficile condizione economica, vedeva un considerevole numero di cittadini lasciare il paese per emigrare all'estero. Il principio dello ius soli è stato invece adottato più che altro dai paesi luoghi di destinazione dei flussi migratori. Queste nazioni, caratterizzate da ampi territori e da una popolazione insufficiente per garantire lo sviluppo economico, avevano bisogno di vedere aumentato il numero dei loro cittadini e il ricorso a questo principio parve una soluzione ottimale. Nell'Italia di adesso, le mutate condizioni economiche e la invertita evoluzione dei processi migratori rendono sempre meno opportuna la preminenza dello ius sanguinis sullo ius soli. La natura di questa legge, fortemente sbilanciata nella protezione della discendenza, non trova più ragione nella tutela degli emigranti nostrani e risulta invece ostile all'integrazione degli stranieri oggi presenti, oltre che in contrasto con i principi emersi dalle normative degli altri paesi U.E. La sua stessa presenza all'interno dello ordinamento italiano appare sempre più estranea. La riforma della condizione dello straniero, seguita alle direttive comunitarie in materia, riconosce, almeno per lo straniero lungo residente, la parità dei diritti. La legge 40\98, in particolare, prevede attraverso la carta di soggiorno, un percorso di progressivo ampliamento delle capacità giuridiche che dovrebbe culminare con la concessione del voto. Questo iter è sempre più spesso indicato dai rappresentanti del Governo come 'riconoscimento dei diritti di cittadinanza' ed anche se il termine è usato con un accezione più socio-politica che tecnica, lascia intendere la necessità di una profonda riforma della disciplina sulla materia. Sembra essersi creata infatti una disarmonia tra le norme che indirizzano dall'alto le politiche di immigrazione e le norme che dal basso, definiscono l'appartenenza o l'esclusione della singola persona da quell'"ultimo privilegio di status rimasto nel diritto moderno" che è appunto la cittadinanza. Considerare gli stranieri dei non cittadini indebolisce, quando non vanifica, il riconoscimento dei diritti che le politiche di immigrazione hanno nel tempo concesso fino all'attuale parità di trattamento in ambito civile e in parte in quello sociale. La mancata revisione della legge 91\92 inoltre protrae l'esistenza di una fascia sempre più estesa di contribuenti (cittadini sostanziali) che si trovano, almeno da un punto di vista formale, in un gradino inferiore nonostante le politiche ad essi relative cerchino di avvicinarli agli occupanti del gradino superiore (cittadini formali). Non è difficile sostenere come le difficoltà attraverso cui in Italia, si accede alla cittadinanza e la conseguente esiguità dei naturalizzati sia fra le causa della difficile attuazione che stanno incontrando le politiche rivolte agli immigrati e ciò anche nei confronti di quelli che, ipotizzando una revisione della legge, non avrebbero comunque titolo alla cittadinanza. La differente ispirazione tra la normativa sull'immigrazione e la normativa sulla cittadinanza ha infatti soffocato e sminuito alcuni aspetti fondamentali della prima. In un paese in cui già un buon numero di cittadini (formali) siano di origine straniera e rappresentino quindi le esigenze di questa parte di popolazione i processi di integrazione non solo risulterebbero agevolati ma riceverebbero anche maggiore attenzione da parte dello Stato e della società civile. Si poteva ipotizzare ad esempio, una diversa conclusione riguardo al diritto di voto se già un ampio numero di cittadini naturalizzati vi fosse stato ammesso. Lo stesso in ambito sociale, se vi fosse stata una richiesta da parte di cittadini italiani naturalizzati all'insegnamento della religione islamica, gli stranieri presenti in Italia avrebbero avuto più chance di vedere accolta una istanza di tal genere. Gli effetti di una immigrazione senza concessione della cittadinanza o con una concessione limitata (democrazia mutilata secondo Zincone), si possono analizzare nella esperienza tedesca. In Germania nonostante in alcune città gli stranieri superassero il 30%, fino all'anno scorso la cittadinanza era legata ancora alla discendenza e per la naturalizzazione il percorso era talmente tortuoso, costoso e discrezionale, da rendere minima la percentuale di naturalizzati. In questa nazione una rilevante quantità di persone è stata sottoposta per lungo tempo a decisioni che non hanno contribuito ad elaborare; i risultati in tema di conflittualità sociale sono stati pessimi e in alcuni zone la convivenza è apparsa impossibile tanto che i quartieri 'ghetto' delle città tedesche sono fra i più chiusi e degradati (Kreuzeberg su tutti, quartiere di Berlino chiamato la piccola Istanbul).

Cittadinanza ed immigrazione devono essere correlate, indipendentemente dalla funzionalità o rigidità degli ingressi. Una democrazia può essere più o meno ospitale e più o meno interessata ma una volta che decide di accogliere lo deve fare secondo i principi che la sostengono. Così si esprimeva Walzer nel 1981 . Il processo di autodeterminazione attraverso il quale uno stato democratico dirige la propria vita deve essere aperto: ugualmente aperto a tutti quegli uomini e quelle donne che vivono nel suo territorio lavorano nell'economia del posto e sono sottoposti alla legge del posto. Quindi la seconda ammissione (naturalizzazione) dipende dalla prima ammissione (immigrazione) ed il passaggio è sorretto da vincoli di tempo e ad altri requisiti ma non può essere improntato a criteri di chiusura. La cittadinanza è lo strumento che conferisce all'individuo la capacità soggettiva nei confronti dello stato in cui vive, la sua dipendenza dallo ius sanguinis e da criteri normativi di rigida chiusura non è più opportuna né utile in un paese come quello italiano in cui la presenza straniera risulta sempre più estesa. Le stesse normative sulla cittadinanza degli altri Stati U.E., in questi ultimi anni, hanno stabilito condizioni più favorevoli per gli stranieri nati nel paese e ridotto le difficoltà per la naturalizzazione. Alcuni paesi hanno adottato il principio dell'attribuzione automatica della cittadinanza nel caso del doppio ius soli. Altri hanno previsto forme di naturalizzazione facilitata per i nati nel territorio; in Inghilterra si consente ad esempio, l'acquisizione della cittadinanza al momento della nascita, qualora i genitori siano titolari di un permesso di soggiorno permanente o in ogni caso residenti da dieci anni. Un meccanismo simile è presente nella legislazione portoghese. In Francia, i genitori possono chiedere la cittadinanza per il figlio quando raggiunge l'età di tredici anni, dopo una residenza effettiva di cinque. In Germania, con la recente riforma, la cittadinanza è ottenuta alla nascita se almeno un genitore è residente da otto anni. In Italia la normativa contrasta, come detto, con l'apertura delle altre legislazioni europee. La cittadinanza per il figlio di stranieri nato nel territorio è concessa, per beneficio di legge, solo al raggiungimento della maggiore età ed è subordinata a vari requisiti fra cui la prova di una residenza continuata ed effettiva. È previsto inoltre il tempo massimo di un anno per la presentazione della domanda trascorso il quale si decade dal diritto. Anche il dato inerente alle naturalizzazioni è in controtendenza nella nostra nazione. In Europa si è ormai affermata una politica diretta ad agevolare le procedure ed a limitare la discrezionalità nella decisione. La naturalizzazione si distingue infatti dalle altre acquisizioni perché non costituisce un diritto ma è concessa attraverso un provvedimento amministrativo; insieme alla soddisfazione di determinati requisiti deve intervenire dunque anche il potere discrezionale dello Stato. La condizione principale per la domanda, comune a tutte le normative europee, è ovviamente quella di una residenza legale. Il periodo della residenza è diverso da paese a paese, ma dal dopoguerra ad oggi ogni nazione ha più o meno ridotto le sue pretese temporali, solo in Italia con la legge del '92 gli anni sono passati inspiegabilmente da cinque a dieci. Molti paesi hanno inoltre accorciato i tempi di attesa burocratica, in Olanda ad esempio, sono gli uffici dell'anagrafe ad occuparsi dell'intera pratica. In Italia nella procedura vengono interessati, la Prefettura, la Questura, Ministero dell'Interno, Capo dello Stato, Ufficiale di Stato Civile e, fino alla riforma Bassanini, anche il Consiglio di Stato che doveva emanare un parere dilatando oltremisura i tempi di attesa. Anche la documentazione necessaria annovera una quantità di voci da far impallidire; in particolare vengono richiesti dei certificati del paese di origine che in alcuni casi risulta impossibile ottenere. Inoltre, insieme, alla già citata residenza legale di dieci anni, la legge italiana pretende l'assenza di precedenti penali, l'ottemperanza agli obblighi fiscali e l'autosufficienza economica. Non viene invece richiesto alcun elemento che possa testimoniare un qualche legame o affinità culturale con il nostro paese.

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