Forum della Rete G2 – Seconde Generazioni

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MessaggioInviato: 07 gen 2009, 02:24 
Extra terrona
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Questa era l'apertura (il primo titolo della prima pagina) dell'ultimo numero del settimanale Metropoli la repubblica centrato sulle proposte di riforma della legge sulla cittadinanza italiana e dove riportate proposte e dibattito sulle seconde generazioni, con una dichiarazione della Rete G2 che a riguardo ha chiesto anche incontro al presidente della Camera G. Fini.

Cita:
"Cittadinanza, niente sconti"

Dieci anni per richiedere la naturalizzazione e una verifica della conoscenza della cultura italiana. Sono i punti fermi del Centrodestra per quanto riguarda l'accesso alla cittadinanza italiana, regolata da una delle leggi più importanti che interessano immigrati e figli, la legge 91 del 1992. Che decreta chi non dovrà più dipendere dalle incertezze dei permessi di soggiorno e avrà accesso innanzitutto al diritto di voto e alla libertà di circolazione. Percorso che secondo il ministero dell'Interno ha già riguardato 246.213 nuovi italiani, registrati tra il 1980 e il 2007, ai quali si aggiungeranno i 39mila previsti per il 2008. Il 16 dicembre sono iniziati i lavori in commissione Affari costituzionali per una riforma della legge a partire dalla discussione degli otto testi già depositati. Mentre per l'opposizione la proposta di riferimento è quella del Partito democratico, un testo unico per la maggioranza non c'è ancora: deputati di Pdl e Lega hanno presentato solo brevi proposte e l'unico testo più complesso è quello della deputata del Popolo della libertà Jole Santelli, vicepresidente della commissione. Ma alcuni elementi comuni già emergono. "Lasceremo invariati gli anni di permanenza necessari, dieci, un numero legittimo, mentre ci concentreremo sui criteri per concedere la cittadinanza per residenza -- dice Isabella Bertolini, relatrice per la maggioranza della proposta di riforma -- . Come la conoscenza di lingua, cultura, tradizioni e valori italiani". Quindi "la cittadinanza come coronamento di un percorso e possibilità di scelta per alcuni, anche perché non è detto che tutti la vogliano -- aggiunge Bertolini -- . Del resto da un nostro sondaggio emerge che solo il 30% degli immigrati è interessato a richiederla". Facendo due conti non proprio pochi: 1 milione e duecentomila se si tiene conto delle stime del dossier Caritas 2008 sugli stranieri regolarmente presenti in Italia (circa 4 milioni). Alla necessità di verifica della conoscenza dell'Italia Jole Santelli ha dedicato gran parte del suo testo di riforma anche perché "la cittadinanza dà accesso ai diritti politici e quindi è necessario che gli immigrati siano consapevoli della comunità nella quale entreranno a far parte quando andranno a votare". Tra i punti proposti da parlamentari della maggioranza da discutere per un accordo: la revoca della cittadinanza in caso di condanna per alcuni reati come il traffico e detenzione di stupefacenti; verifica della conoscenza della lingua locale e rinuncia al possesso di altra cittadinanza. Ad interessare la maggioranza secondo Bertolini anche "la cittadinanza per i figli degli immigrati che crescono in Italia visto che sia il presidente della Repubblica che alcuni nostri esponenti si sono espressi a favore. Ma è tutto ancora da vedere". "Di fatto allo stato attuale non esistono proposte di apertura verso i figli dell'immigrazione firmate dal Centrodestra -- sostiene Lucia Ghebreghiorges portavoce della rete nazionale G2 – Seconde Generazioni -. Anzi, il testo di Santelli stabilisce persino ulteriori restrizioni per chi è nato in Italia e la deve richiedere a 18 anni. Per questo dopo l'invio di una lettera al presidente della Repubblica ne abbiamo spedita un'altra al presidente della Camera, Gianfranco Fini, che alcuni giorni fa si era detto favorevole ad un'apertura". (21 dicembre 2008)


Fonte: Metropoli la repubblica

Cita:
L'OPPOSIZIONE "Se non vogliamo che la gente rinunci dobbiamo scendere a cinque anni"

"Tra noi e il Centrodestra non vedo grandi possibilità di dialogo sulla riforma della legge per la cittadinanza" dice Gianclaudio Bressa, primo firmatario della proposta del Partito democratico per cambiare la legge 91/92. "Ad esempio per noi è fondamentale rendere possibile la scelta della cittadinanza italiana abbassando a 5 gli anni di residenza necessari per richiederla mentre il Pdl vuole lasciare la situazione così com'è -- aggiunge il parlamentare -- . Per noi è necessario un cambiamento in questo senso perché le persone finiscono per rinunciare quando vedono che diventare italiani è una corsa ad ostacoli. Che attualmente prevede 10 anni per fare domanda e 4, 5 o addirittura 6 anni per una risposta positiva". Elementi che hanno probabilmente contribuito ad assicurare all'Italia il ventesimo posto nella graduatoria di recente pubblicazione sulle acquisizioni di cittadinanze di Paesi dell'Unione europea: appena 0,6 concessioni di nazionalità per 1.000 abitanti, al di sotto della media, che è di 1,5 ogni 1.000 abitanti. Su un altro punto Bressa è ancora più critico. Bolla infatti come "una vera ****" la proposta di revoca della cittadinanza in caso di condanna per alcuni reati, avanzata da alcuni esponenti della maggioranza, come il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato e il ministro della Difesa Ignazio La Russa. "Allora dovremmo prevedere di poterla togliere a tutti -- dice -- anche a chi è italiano da generazioni. Un percorso impraticabile". Il parlamentare del Pd intravede per ora margini per un'attività comune tra maggioranza e opposizione solo per quanto riguarda due punti: "la cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri e per i figli di immigrati che siano nati all'estero ma cresciuti in Italia". Due tipologie che il testo di Bressa già prevede attraverso l'introduzione di novità significative per ora mai contemplate nell'ordinamento italiano. (paula baudet vivanco) (21 dicembre 2008)


Fonte: Metropoli la repubblica


Ultima modifica di paula il 07 gen 2009, 02:36, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 07 gen 2009, 02:35 
Extra terrona
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Questo l'intervento pubblicato nella stesso numero di Metropoli dove sono riportati gli articoli di cui sopra:

Cita:
Fini: passaporto a chi cresce qui
Immigrazione, ovviamente legale, può fare rima sia con integrazione sia, all'opposto, con emarginazione. La prima parola designa un traguardo possibile. La seconda una piaga da curare. La prima prospettiva corrisponde a una grande sfida che le istituzioni e la società hanno il dovere, anzi l'obbligo, di vincere. La seconda è il risultato di una deriva o, peggio ancora, di una pseudocultura che può silenziosamente prevalere nell'inerzia, nella superficialità e, soprattutto, nella paura. Una cosa è certa: la nostra società tra qualche decennio, forse tra meno di un decennio, forse già da ora ï¾–e non ce ne siamo ancora accorti -- , questa nostra società, non sarà più la stessa. E non è difficile capire perché. Viviamo in un'epoca di imponenti migrazioni, non solo di persone, ma di idee e di capitali. Di capitali umani e culturali oltre che economici. Questo significa che non possiamo rimanere fermi. Dobbiamo prevedere e guidare i processi sociali. E' proprio questa la sfida dell'integrazione. L'alternativa? Non c'è. L'emarginazione non è un'alternativa: è una sconfitta. Una sconfitta per tutti, per gli italiani non meno che per gli immigrati: l'emarginazione porta con sé la discriminazione e, se diventa cronica e diffusa, è fattore di disgregazione sociale. Questo discorso ï¾– è superfluo rilevarlo ï¾– è altra cosa rispetto alla necessità di fronteggiare l'emergenza contrastando la clandestinità e l'illegalità. Ma ritengo che una politica lungimirante debba guardare al di là dell'emergenza e cominciare a lavorare a un progetto di società più aperta, più evolutiva e più libera. Prima di chiarire che cosa è da intendere per integrazione è bene stabilire che cosa può significare nell'Italia di oggi il concetto di emarginazione-discriminazione. Non occorre cercare i modelli nel Sudafrica del tempo di Botha e neppure nello Stato americano del Mississippi degli anni Sessanta. Basta andare a Castel Volturno, dove qualche mese fa la camorra ha compiuto una strage di immigrati. Quel caso terribile ha scoperchiato la botola di un degrado spaventoso, fatto di sfruttamento, di diritti negati, di illegalità diffusa. Caso limite? Non è una risposta accettabile. E non corrisponde nemmeno al vero. Perché tanti "casi limite" sono presenti, anche se in forma meno grave, ma comunque preoccupante, nelle periferie delle nostre città e in tanti territori di quella che un tempo si chiamava "Italia profonda". La discriminazione è in molti casi una condizione di fatto. E viene dal lavoro nero e dai servizi sociali assenti. La mancata scolarizzazione dei bambini, soprattutto quando questi vengono mandati a chiedere l'elemosina, è una delle situazioni più dolorose. C'è poi da combattere un'altra forma di emarginazione, anzi di autoemarginazione. E' la tendenza all'isolamento sociale e culturale che agisce in una parte delle comunità di stranieri. E' una pulsione insidiosa e può essere favorita dal "politically correct" più bigotto. Penso al caso di quegli insegnanti che non hanno fatto partecipare i loro alunni alle celebrazioni dello scorso 4 Novembre con l'incredibile motivazione che l'omaggio alla bandiera tricolore avrebbe offeso la sensibilità degli scolari immigrati o a quello, non meno sconcertante, di un professore che ha rimosso il Crocifisso dalla parete dell'aula dell'Istituto dove insegna. Il multiculturalismo inteso in senso dogmatico rischia di congelare lo straniero nella sua identità d'origine limitandone le possibilità di incontro e di dialogo. Può anche nascondere in sé il retropensiero, autodenigratorio, che la nostra cultura di Paese ospitante rappresenti un fattore di contaminazione e di aggressione. Il pericolo è quello di produrre alla fine un "melting pot" fatto di enclaves etniche chiuse e autoreferenziali. Quella che è stata definita "Londonistan" non rappresenta davvero un'esperienza da prendere a modello. Il nostro obiettivo deve essere quello di definire una via italiana all'integrazione innovativa e anticipatrice. Un modello che faccia tesoro delle esperienze europee e che ben si inserisca nel quadro dei valori sanciti dall'Ue. Questo richiamo ai valori ci aiuta a capire che l'integrazione non va intesa in senso meramente burocratico e formale. Non implica soltanto la coesistenza di gruppi diversi sotto una stessa legge, ma qualcosa di più: la condivisione dei valori di fondo della nostra società, innanzi tutto quelli universali della dignità e della libertà della persona. Un esempio tragicamente eclatante della differenza che passa tra integrazione effettiva e integrazione apparente ce lo fornisce la vicenda di Hina Saleem, la ragazza pakistana uccisa dal padre due anni fa a Brescia. Quel padre assassino lavorava e rispettava la legge. Però non ha esitato a sgozzare la figlia per il solo fatto che questa voleva vivere secondo il sistema di vita occidentale. Serve a poco seguire formalmente le regole se poi si obbedisce, nel profondo, alla sola legge della Sharia. Ritengo che una vera integrazione possa essere favorita da una nuova legge sulla cittadinanza, destinata ovviamente a quegli immigrati che si sentano realmente coinvolti nella vita della nostra società. Penso in particolare a quei bambini che già studiano nelle nostre scuole. Occorre già da oggi preparare il loro futuro di nuovi italiani. Anche il voto alle amministrative potrebbe favorire l'integrazione, ma solo nella prospettiva della nuova cittadinanza e solo se è chiaro a tutti il principio che ai diritti corrispondono i doveri. Al dunque, la sfida dell'integrazione rappresenta un profilo non secondario della più generale sfida a pensare e a costruire l'Italia del XXI secolo. L'obiettivo deve essere quello di un'Italia che non abbia paura di ridefinirsi nelle nuove situazioni storiche. Un'Italia dinamica ed evolutiva. Un'Italia orgogliosa delle proprie tradizioni, ma non ripiegata su una cultura chiusa. La possiamo chiamare la grande sfida dell'identità. E la possiamo vincere con politiche lungimiranti, ispirate a visioni di alto profilo. (l'autore è presidente della Camera dei deputati) (21 dicembre 2008)


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