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Autore Messaggio
MessaggioInviato: 03 giu 2008, 09:12 
Clandestino

Iscritto il: 27 mag 2008, 08:43
Messaggi: 1
E' passato circa un mese (6 maggio) da quando inviai una lettera alla casella e-mail della Rete G2. Non ho ancora ricevuto risposta. Forse il testo era un pò complicato e segnalo che su quelle tematiche ho scritto un saggio di prossima pubblicazione, di cui fornirò le coordinate bibliografiche non appena possibile. Tuttavia, al fine di rendere gli utenti del blog partecipi dello spirito di quella lettera, riporto qui una mia riflessione inviata al giornale il manifesto pochi giorni fa, e che questo non ha pubblicato...
Saluti. E


Straniero nella mia nazione a testa alta

Sento un gran parlare in questi giorni di una presunta aria che sta spirando nel paese, di un ritorno della xenofobia in grande stile, e che dunque si stia attraversando un punto di non-ritorno. Non è che non condivida questa lettura della realtà, è che anche questa rischia di essere equivoca. E cioè, sarebbe più corretto dire che la xenofobia non se ne è mai andata. Fanno bene gli autori dell’appello La deriva del razzismo, pubblicato su il manifesto del 29/5/2008, a dire che oggi si stia pagando il prezzo per gravi sottovalutazioni del passato (gli “ultimi venti anni”); il fatto è che se si vuole dare a queste il giusto nome, oltre l’emergenzialismo dell’oggi, occorre che vengano chiamate “continuità culturali” tra centrodestra, centrosinistra e sinistra radicale nel modo di affrontare la questione immigrazione. Se si vuole veramente capire perché chi nel 2006 votava Rifondazione Comunista, e nel 2008 ha votato Lega in molti comuni del Nord Italia, bisogna dire che la retorica e pratica dell’integrazione che per anni la sinistra tutta ha promosso, e che ancora oggi propone come soluzione possibile, è stata ed è razzista in radice. Perché quando si vuole contrastare la criminalizzazione del migrante operata dai media e dalla destra, si dice che l’immigrato è una risorsa per l’economia italiana perché fa quei lavori che gli italiani non fanno più, senza dire che (perlomeno fino a poco tempo fa) il livello medio d’istruzione della popolazione immigrata in Italia è superiore a quello degli italiani?
Io ragiono da “straniero nella mia nazione”, da cittadino italiano figlio di un immigrato, ma disciplinato come tale (proprio in questi ultimi venti anni) dagli apparati ideologici di Stato; scuola, polizia, media, etc. Rivendico, a testa alta, tale identità oggi, ma non per vittimismo, bensì per sfuggire alla morsa del “doppio legame posturale” vittimizzazione-criminalizzazione del migrante che, ormai possiamo dirlo, ha determinato la scomparsa fattiva della presunta differenza tra multiculturalismo progressista e reazionario, a vantaggio di quest’ultimo. Il problema allora è capire perché si sia arrivati a questo punto, che è certamente un punto critico, ma che al tempo stesso deve imporre, come obiettivo da praticare, l’esigenza di de-colonizzare il modo di pensare la presenza dell’Altro migrante sul suolo nazionale, per una sinistra (istituzionale, movimentista, associazionista ed intellettuale) ancora legata al concetto di uguaglianza ed ancora dedita al progetto di trasformare la società. Solo così sarà possibile fare da argine a ciò che di terribile sta accadendo, ma ciò significa altresì che per uscire a sinistra da questa fase storica occorrerà prendere di petto una volta per tutte, ed a partire proprio dall’Occidente, l’eurocentrismo del senso comune. Certo, per fare questo, è più che chiaro che gli “stranieri nella propria nazione” debbano svegliarsi, alzare la testa e rifiutare i trabocchetti del termine integrazione. Ma poi, sarà anche necessario che tutti quelli che sono stati razzializzati in quanto Altri collaborino per costruire assieme una nuova grande narrazione alternativa.

Emilio Giacomo Berrocal


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