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Nato in Germania, parla tedesco: è “clandestino”, deportato in Turchia
L’incredibile storia di Mohammad Eke comincia il 30 maggio del 1988, il giorno della sua nascita


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L’incredibile storia di Mohammad Eke comincia il 30 maggio del 1988, il giorno della sua nascita. Mohammad è un ragazzino come tanti altri, nella Essen affollata da immigrati dalla Turchia e dai loro figli. Seconde generazioni che, come lui, considerano la Germania la propria patria e non parlano quasi altra lingua che il tedesco.
I suoi genitori, a quanto ne sa, sono rifugiati, fuggiti dal Libano durante la guerra civile. Questo almeno è quanto risulta alle autorità fino al 2001, quando cominciano a indagare su una folta comunità di turchi entrata illegalmente nel Paese durante gli anni ’80, spacciandosi per profughi libanesi. Tra di loro, ci sono anche i genitori di Mohammad che – una volta scoperti – vengono obbligati a rimpatriare.
Il giorno in cui avviene il blitz del dipartimento immigrazione (il 20 settembre 2005), però, il ragazzo non è in casa e perde dunque quell’aereo che lo dividerà per sempre dai genitori, che mai perdonerà per le loro bugie. Essendo minorenne, Mohammad non può essere rimpatriato e viene quindi spedito in un centro per rifugiati di Essen, dove avrebbe dovuto provare di sapersi integrare nella società tedesca, frequentando un programma creato per i richiedenti asilo adolescenti.
Quella che poteva sembrare una ridicola formalità – dal momento che Mohammad non aveva mai vissuto altrove che in Germania, aveva sempre frequentato la scuola e giocava addirittura nella locale squadra di calcio – si è trasformata però in una lunghissima odissea legale. Il ragazzo, infatti, sconvolto dall’accaduto e dalla perdita della propria identità, decide di fuggire e, dopo sei mesi, smette di frequentare il programma.
Scatta allora l’ordine d’arresto, cui si aggiunge quello di rimpatrio, dal momento che nel frattempo Mohammad ha compiuto 18 anni. Il ragazzo si rifugia prima da amici, poi dalla sorella, che vive a Bremen e ha un passaporto tedesco, ma, il 7 novembre 2008, viene scoperto e rinchiuso per nove mesi in una sorta di Cie. Due volte, durante quel periodo, viene portato al consolato turco, ma si rifiuta di chiedere il passaporto perché sostiene «di essere nato in Germania e di essere quindi un cittadino tedesco».
La sorella assume allora degli avvocati, che intentano una causa contro il rimpatrio forzato voluto dal governo. Il tribunale amministrativo di Gelsenkirchen, però, lo condanna a tornare in Turchia, perché «il suo comportamento dopo la fuga denuncia la sua mancata volontà di integrarsi». Nemmeno l’appello va meglio e così neanche l’ultima richiesta alla Corte costituzionale federale, l’organo supremo del sistema giudiziario tedesco.
Così, nell’agosto 2009, Mohammad viene imbarcato su un volo per Instabul, dove per settimane rimane a vivere all’interno dell’aeroporto, dormendo sul pavimento della Moschea e non allontanandosi più del necessario, spaventato dalla lingua, dalla città e dagli usi e costumi sconosciuti.
Tornare in Germania sembra impossibile, dal momento che prima di poterlo fare dovrebbe tra l’altro pagare i costi sostenuti dal governo tedesco per i suoi nove mesi di detenzione e per il biglietto aereo, vale a dire circa 20 mila euro.
La fidanzata, Mehtap Sabah, di 23 anni, sarebbe disposta a sposarlo per garantirgli la cittadinanza, ma proprio non sa dove trovare tutti quei soldi. Mohammad, infatti, ha per qualche tempo trovato un lavoro presso un panificio di Istambul, ma è stato licenziato perché il proprietario non guadagnava abbastanza per poterlo tenere.
La sua vita, da allora, è di nuovo in aeroporto, in attesa di quel volo che forse, un giorno o l’altro, lo riporterà «a casa».


Fonte: http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-e ... ia-174533/

Su Facebook: http://www.facebook.com/note.php?note_i ... 381&ref=mf


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