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MessaggioInviato: 01 dic 2009, 19:07 
G2 con doppia cittadinanza
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Il caso Super-Mario è il simbolo del passaggio dal Paese di ieri a quello di domani

I fischi in campo a Balotelli e la colpa di sentirsi italiano

Sogna la maglia azzurra e manda fuori gioco i razzisti


«Mangiabanane schifoso!». Provateci voi, a giocare a calcio davanti a decine di migliaia di tifosi, mentre dagli spalti si le­vano certi cori infami. Provateci voi, a tene­re i nervi saldi e sorridere dei teppisti e se­guire i consigli di chi raccomanda una bri­tannica compostezza mentre ti urlano «Se saltelli / muore Balotelli!» e «Ne-gro / di-mer-da!» e «Non ci sono italiani ne­gri! ». Provateci voi, a vivere portando il pe­so che si porta addosso super-Mario. Ob­bligato, e Dio sa quanto ne farebbe volen­tieri a meno, a essere un simbolo: quello del passaggio dall’Italia di ieri a quella di domani.

Ma certo, il ragazzo qualche volta rove­scia la sua timidezza, che dicono superiore perfino alle qualità tecniche, in provocazio­ni da bullo. Come quando, dopo un gol alla Roma, andò a fare le linguacce ai tifosi gial­lorossi spingendo Francesco Totti a dire che: «Se a diciotto anni mi fossi io compor­tato così mi sarei preso calci nel sedere da Giannini, due schiaffi da Mazzone e il re­sto me lo avrebbero dato a casa». Troppo facile, però, dire che ha un caratteraccio. Dietro le sue intemperanze, le sue ribellio­ni, i suoi sfoghi, c’è qualcosa di più. Dico­no: non c’entra il razzismo, tanto è vero che George Weah, Frank Rijkaard, Patrick Vieira, Marcel Desailly, Clarence Seedorf e tanti altri giocatori di colore hanno avuto pochi problemi. Ed è vero, in parte. Come spiegò Ruud Gullit: «Se sei miliardario e giochi nel Milan sei un po’ meno negro». Come accade dai tempi in cui Sesostris III, quattro millenni fa, fece mettere nel pro­fondo sud del paese un cippo: «Frontiera sud. Questo confine è stato posto nell’an­no VIII del regno di Sesostris III, re dell’Al­to e Basso Egitto, che vive da sempre e per l’eternità. L’attraversamento di questa frontiera via terra o via fiume, in barca o con mandrie, è proibita a qualsiasi negro, con la sola eccezione di coloro che deside­rano oltrepassarla per vendere o acquista­re in qualche magazzino». Insomma: nien­te neri, se però vengono a far girare i sol­di...

Qual è allora la differenza tra Balotelli e, per esempio, Lilian Thuram? Non ha gli oc­chialetti da professorino? Non fa le stesse buone letture? Non mostra lo stesso garbo davanti ai microfoni? No. Ciò che non vie­ne perdonato al giovane campione interi­sta è di non essere uno dei tanti campioni di colore («vabbè, puzzano, ma se ci fanno vincere...») che arrivano, aiutano a conqui­stare gli scudetti o una medaglia olimpica e a fine carriera se ne tornano a casa. Balo­telli è nero ma parla bresciano ed è italia­no. Peggio, rivendica la sua identità italia­na: «Sogno la maglia azzurra come l’ha so­gnata ogni bambino italiano». È questo che manda in corto circuito i razzisti. Come ha scritto sul manifesto lo storico inglese John Foot, troppi abitanti della pe­nisola «trovano semplicemente impossibi­le accettare che Mario Balotelli sia di fatto italiano. Per loro, non esistono black ita­lian. Gli immigrati vanno bene fintanto che restano invisibili, non camminano per strada, non danno fastidio e non hanno di­ritti. Sono buoni a nulla, non possono esse­re 'uno di noi'. Balotelli fa cadere il velo su queste spaventose contraddizioni». La reazione la vedi sugli spalti. Dove ad esempio i tifosi della Juve, per smuovere le autorità calcistiche e guadagnare mesi fa al­la loro squadra la condanna a giocare a por­te chiuse, dovettero insistere e insistere nei loro barriti razzisti fino al punto di fare scrivere al giudice sportivo Gianpaolo To­sel che i cori erano stato intonati «in molte­plici occasioni» («ai minuti 4’, 26’, 35’, 41’, 42’ del primo tempo e 11’, 19’, 22’, 25’, 30’ del secondo tempo») e «in vari settori del­lo stadio» e in assenza «di qualsiasi manifestazione dissociativa da par­te di altri sostenitori ovvero di in­terventi dissuasivi da parte della so­cietà ».

E la vedi in internet. Dove i blog sono infestati di messaggi di anonimi suprematisti bianchi come uno che si fir­ma «Baronva1» e manda Mario a «fanculo ai gorilla nella foresta ghanese» o un altro che sul sito neonazista stormfront.org si firma Once Were White Warriors («una vol­ta eravamo guerrieri bianchi») e impreca contro «la velina bionda paparazzata col negro Balotelli»: «Mi vengono i conati quando si vede un negro abbracciato ad una bianca». E sempre lì si torna, all’urlo «non esisto­no italiani neri». Lo stesso lanciato contro Leone Jacovacci, il giovane e formidabile pugile figlio di un laziale e una congolese che, dopo essere cresciuto nel viterbese ed essersene andato dall’Italia per sottrarsi ai pregiudizi razziali guadagnando la fama sul ring col nome di Jack Walker, ebbe il fegato di sfidare il Duce nel 1928 tornando a Roma per strappare il titolo tricolore al campione in carica nazionale ed europeo Mario Bosisio. Una vicenda straordinaria, raccontata dallo storico Mauro Valeri nel li­bro «Nero di Roma» e conclusa da una pro­gressiva emarginazione voluta da un regi­me che spingeva le mamme a cantare ai piccoli «ninna nanna la tua razza / bimbo bello non è pazza / mentre altrove la fami­glia / si finisce in gozzoviglia». Lo stesso ripetuto per decenni alle centi­naia di figli di italiani che negli anni ’50 e ’60 dell’Amministrazione fiduciaria in So­malia, avevano approfittato («Non esagero dicendo che la maggior parte ha la mada­ma, qualcuno anche sposato», scrisse l’arci­vescovo di Mogadiscio Venanzio Filippini nel 1951) delle ragazze locali. Bimbi strap­pati alle madri, rinchiusi nei collegi locali, trasferiti a forza negli istituti della penisola e qui diventati adulti tra le occhiate di di­sprezzo per la pelle nera nonostante la car­ta d’identità italiana senza mai avere le scu­se ottenute da altre «generazioni rubate», come gli aborigeni australiani, gli inuit ca­nadesi o i rom jenische svizzeri.

Lo stesso urlo ribadito in questi anni a giovani come Matteo Fraschini che, dopo essere stato adottato in fasce da un profes­sionista milanese ed essere cresciuto sot­to la Madonnina fino ad avere un per­fetto accento meneghino, ha deci­so che non ne poteva più del­l’aria fetida che tirava e ha deciso di trasferirsi in quell’Africa do­ve mai aveva vissu­to. Ha spiegato a La Stampa Franco Rossi, uno che orga­nizza tornei giovanili di calcio, che l’Italia è piena di «pulcini» come superMario: «Ti accorgi che quei ragazzi di origine africana sono in real­tà italianissimi quando li senti parlare con i compagni in dialetto veneto, romano, na­poletano, piemontese...». Per loro forse, domani, sarà un po’ più facile. Forse. Ma se piglieranno qualche fischio in meno, al­l’uscita dagli spogliatoi, sarà perché molti se li sta prendendo oggi Balotelli. Il quale, decida o no Marcello Lippi di convocarlo, la sua maglia azzurra se l’è già conquistata. Con quell’amore verso un paese che qual­che volta tanto amore non se lo merita af­fatto.

Gian Antonio Stella
01 dicembre 2009


Fonte: http://www.corriere.it/cronache/09_dice ... aabc.shtml

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MessaggioInviato: 01 dic 2009, 20:46 
G2 con doppia cittadinanza

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che bell'articolo, m'è scesa una lacrima a leggerlo, ed ho provato di nuovo tanta rabbia.

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MessaggioInviato: 03 dic 2009, 04:50 
G2 con psd convertito!!!
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Quoto cino tranne per le lacrime.


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MessaggioInviato: 03 dic 2009, 18:28 
G2 con doppia cittadinanza

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ma come! so la parte più importante! :x
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