Oggetto: lettera di denuncia del caso di discriminazione nei confronti di Alessandra Samira Mangoud, figlia di immigrati, da parte del Comune di Roma
Siamo una Rete nazionale di figli e figlie di immigrati nati in Italia o arrivati in Italia da minorenni. “G2 – Generazioni Seconde” è il nome della nostra Rete (
https://www.secondegenerazioni.it). Vi scriviamo per denunciare il caso di discriminazione che sta vivendo una figlia di immigrati che fa parte di “G2”: Alessandra Samira Mangoud, di professione assistente sociale, nata in Italia da madre filippina e padre egiziano. Samira non ha potuto prendere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno di età perché nessuno l’aveva informata che doveva richiederla in breve tempo e adesso si ritrova ad essere straniera in patria: un’italiana con permesso di soggiorno. Attualmente le viene impedito di continuare a fare il lavoro che le piace e per il quale ha studiato. Questo perché il Comune di Roma ha escluso solo lei tra tutti i suoi colleghi che lavorano allo Sportello comunale “H”, in base a un’interpretazione delle leggi restrittiva. Un’interpretazione che al giorno d’oggi, con mezzo milione di figli di stranieri iscritti nelle scuole italiane, rappresenta uno sguardo miope sulla realtà italiana.
Ci rivolgiamo agli organi di informazione per comunicare quanto sta avvenendo, affinché episodi del genere non restino nell’invisibilità e trovino una soluzione positiva. Ci uniamo a Samira nel chiedere che il Comune di Roma riesamini il proprio operato e si renda conto della gravità dell’esclusione che ha messo in atto. Un’esclusione che potrebbe rappresentare un triste precedente per un Comune al quale appartengono molti figli di immigrati, cittadini di Roma.
Per informazioni:
g2@secondegenerazioni.it,
smangoud@yahoo.it.
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Roma, 15 settembre 2006
Quante belle parole si spendono sui diritti degli stranieri, per le politiche sull’integrazione, per una società multi-etnica e tollerante, eppure per gli stranieri e i loro figli, seconde generazione nati e cresciuti in Italia come me, la realtà spesso è una doccia fredda.
Sono laureata in discipline dei servizi sociali e proprio per il tipo di formazione che ho, sono stata assunta insieme ad altri 13 colleghi per lavorare ad un progetto chiamato ‘Sportello H’, ho lavorato un anno e mezzo per il Comune di Roma, con un contratto a tempo determinato e sin dall’inizio ho dichiarato di non avere la cittadinanza italiana, mi era stato comunicato dall’ufficio assunzioni che il I° Dipartimento aveva fatto degli accertamenti ed era risultato che potevo lavorare per una pubblica amministrazione anche senza cittadinanza, perché avevo un contratto a tempo determinato e nessuno degli operatori era stato assunto tramite un concorso pubblico.
Ma poco prima della scadenza del contratto vengo ricontattata dal I° Dipartimento, delle risorse umane del Comune di Roma e mi viene fatto un interrogatorio, su come fossi stata assunta e del perché non avessi la cittadinanza. A quel punto mi sono affidata ai sindacati, i quali potevano interloquire in prima persona con gli assessori responsabili del progetto e delle risorse umane, Gramaglia e D’Ubaldo, che all’epoca si impegnarono a rinnovare tutti i contratti, quelli dei miei colleghi a tempo determinato e il mio con un contratto a progetto.
La doccia fredda è arrivata quando dopo tre mesi che aspettavo senza stipendio il rinnovo, mi hanno comunicato che nella delibera con cui venivano riassunti gli operatori dello ‘Sportello H’ il mio nominativo era stato eliminato. E la motivazione è stata che non avevo la cittadinanza. Eppure mi avevano promesso un contratto a progetto giuridicamente compatibile con il fatto che non avessi la cittadinanza e il mio ruolo di operatrice dello ‘Sportello H’.
A me sembra la solita storia in cui agli italiani è dovuto, mentre ad una seconda generazione è concesso. Eppure io sono nata a Roma e cresciuta qui, ho una formazione professionale più che adeguata e l’esperienza, ma evidentemente i lavoratori non sono tutti uguali, una ‘straniera’ che fa un lavoro d’ufficio e non la badante può aspettare.
Mi sento discriminata rispetto ai miei colleghi di cittadinanza italiana che ora ritorneranno a lavorare, mentre io dovrò aspettare chissà quanto tempo, senza uno stipendio ma con l’affitto e le bollette da pagare.
Mi sento delusa e amareggiata anche dal modo in cui sono stata trattata e da tutto quello che ho dovuto subire, gli interrogatori, l’arroganza di un dirigente che mi accusava di aver dichiarato il falso, le aspettative che sono state alimentate e poi tradite, ma la delusione più grande è giunta dall’assessore Gramaglia, che non ha mi sembra disposta a risolvere in maniera repentina un episodio di discriminazione avvenuta sotto i suoi occhi, a dispetto di tutte quelle politiche sull’integrazione e la non discriminazione che in questi anni hanno caratterizzato il Comune di Roma.
Alessandra Samira Mangoud
Sportello “H”, Comune di Roma