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L’Italia e gli italiani visti dai piccoli nuovi italiani

«L’Italia e gli italiani visti dai bambini immigrati. Un’antologia divertente, ma anche tenera, spiazzante e dolorosa, di pensieri raccolti in vent’anni di insegnamento da un maestro elementare, Giuseppe Caliceti di Reggio Emilia. “Italiani, per esempio” è il titolo del suo libro (dal 10 febbraio per Feltrinelli, pp 240, euro 14) nel quale le frasi dei bambini sono accompagnate da storie, testimonianze e riflessioni dell’autore e dei suoi alunni.»

[Se il giornalista avesse riletto il suo articolo dopo averlo scritto sono sicuro che non avrebbe detto “bambini immigrati”, n.d.r.]

Fonte: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/03/news/mi_ha_offesa_ci_sono_abituata-2179094/

Eccone alcuni:


«In Italia sono diverso io, perché è naturale, in Italia quasi tutti i bambini sono italiani, ma se un bambino
italiano viene in vacanza in Marocco è diverso lui, perché là quasi tutti i bambini sono arabi, nelle scuole arabe non ci sono i bambini italiani, neanche svizzeri, neanche africani, allora io dico: “Noi siamo tutti uguali e diversi, dipende solo dove sei nato e dove vai a abitare!”.
(Omar, 9 anni, Marocco)»

«Se tu mi chiedi se io sto bene in Italia io non so rispondere perché non ho ancora capito se in Italia, i bambini italiani, dico, le donne, i signori, mi vogliono oppure no, perché delle volte mi sembra che mi vogliono e delle volte invece sento della gente che dice di andare via e mi guarda storto e allora se non mi vogliono io non posso stare molto bene. Se per caso tu vai in un altro posto e non sono contenti che sei anche tu in quel posto, tu dopo come stavi? Bene o male? Non lo sai.
(Manuel, 8 anni, Filippine)»

«Secondo me i bambini, se non sapevano che erano nati tutti in paesi diversi, era più facile andare d’accordo. Anche da grandi.
(Damian, 10 anni, Romania)»

«Certe volte io non capisco bene quella gente che dice tu sei albanese, tu sei indiano, tu sei italiano, tu sei rumeno. Cosa vuol dire? Io adesso sono qui, in Italia.
(Damian, 10 anni, Romania)»

«I bambini non sono migrati in Italia, sono portati, perché li portano i loro genitori. Se era per me, io qui non ci venivo.
(Sheela, 9 anni, Sri Lanka)»

«Io ho i miei genitori che sono nati in Tunisia e io sono nata però in Italia, allora quale è la mia patria? Sempre l’Italia oppure è la Tunisia anche per me? Oppure tutte e due? Oppure nessuna patria?
(Zahira, 11 anni, Tunisia)»

«Se tu sei nata in un paese e dopo vieni a abitare in un paese lontano, come me, ti senti un po’ strana, ti senti un po’  come se sei un neonato, perché tu sei già nato in Sri Lanka come sono nata io, però se vieni in Italia sai camminare, ma non sai parlare italiano, poi devi cambiare il modo di mangiare perché non trovi il nostro cibo.
(Sheela, 9 anni, Sri Lanka)»

«Io sono nata in Italia, a Montecchio, però mia mamma e mio papà sono albanesi e anche io allora sono albanese.
Io ho fatto l’asilo qui, la scuola qui. Io vorrei chiedere al maestro due cose. La prima cosa è questa: io sono italiana o albanese o tutti e due? La seconda: ma io sono immigrata o no?
(Vera, 11 anni, Albania)»

«Un mio amico italiano di questa scuola, che non dico il nome, lui dice sempre che lui non va mai ai ristoranti cinesi perché i cinesi mangiano i gatti. Io dico che non è vero e lui dice che a lui lo ha detto sua mamma, perché sua mamma aveva letto sopra un giornale italiano e sopra quel giornale c’era scritto così.
Io non so proprio che giornali ci sono in Italia!
(Tong, 10 anni, Cina)»

«Mio fratello mi aveva detto che se lui vuole andare in discoteca, lui qui in Italia non può andarci. Non perché è piccolo, ma perché è straniero. Perché a Reggio Emilia e a Parma nelle discoteche a ballare ci vogliono solo degli italiani. Però se sei una femmina, una ragazza, ci puoi andare anche se sei marocchina. Ma solo se sei bella.
(Omar, 11 anni, Marocco)»

«Per me se si amano fanno bene a sposarsi anche se lui è nero e lei è bianca, non vuol dire niente il colore, perché
anche chi viene dall’estero è una persona, non un animale. Però il marito e la moglie si devono mettere d’accordo molto bene sul mangiare, sulla religione e sulla educazione dei figli, perché magari avevano delle abitudini diverse e perciò per mettersi d’accordo devono parlare un po’ di più, altrimenti dopo ci sono dei casini e anche
dei litigi. Ma ci possono essere casini anche se la madre e il padre sono tutti e due italiani, infatti in Italia ci sono molti matrimoni non misti ma anche molti divorzi.
(Kumari, 10 anni, Pakistan)»

«Io ho capito che se tu impari a giocare e a sapere del calcio è più facile che i bambini in Italia sono miei amici perché in Italia tutti parlano sempre del calcio.
(Tong, 8 anni, Cina)»

«Io dico sempre a mia mamma e anche a mio padre di imparare un po’ meglio l’italiano per non farmi fare brutte
figure, ma loro lavorano sempre e non imparano mai a parlare bene, per questo io delle volte mi vergogno a andare in giro con loro.
(Vera, 10 anni, Albania)»

La legge torna in Commissione…e noi aspettiamo

Approfondiranno meglio, i nostri rappresentanti, quelli che tanti di noi non hanno contribuito ad eleggere. Ci penseranno, rifletteranno, e forse arriveranno ad un nuovo testo condiviso. Speriamo sia più ragionevole del testo Bertolini, un autentico schiaffo per noi e per chi auspicava un cambio di rotta rispetto alla legge n. 91/1992, considerata una delle più restrittive d’Europa: con la legge vigente l’Italia “concedeva”, nel 2005, 19.266 cittadinanze a fronte delle 117.241 della Germania, 154.827 della Francia e 48.860 della Spagna; di questo passo gli immigrati (e le seconde generazioni) residenti in Italia potrebbero sperare di diventare tutti cittadini soltanto tra più di un secolo…

Cosa dicono a proposito i politici che ci vorrebbero per sempre “immigrati” e “stranieri”?
Dicono che i nostri genitori e noi in fin dei conti non la vogliamo la cittadinanza, che siamo qui per lavorare, fare un po’ di soldi, studiare, apprendere le conoscenze tecniche per poi tornarcene nei nostri paesi. Le statistiche (non quelle “istantanee” che vanno tanto di moda su alcuni giornali e siti internet) tuttavia affermano il contrario e cioè che l’immigrazione in Italia è per lo più stanziale. Volendo limitare l’analisi alle seconde generazioni, lo Stato italiano ha investito o sta investendo su di noi, in primis con il suo sistema scolastico e universitario: che interesse avrebbe (ammesso che lo voglia davvero) a ricaccarci nei paesi d’origine dei nostri genitori? Ovviamente è un discorso che non regge all’evidenza, eppure molti politici usano questi argomenti per cercare di giustificare lo status quo o perfino ritorni indietro.

Dicono che ci vuole tempo per “integrarsi”, per apprendere la lingua, la cultura, la storia e le tradizioni del paese. Questo è vero per le prime generazioni, quasi sempre impossibilitate a frequentare corsi di lingua et similia. Anche se – in questo caso – non possiamo non guardare alla loro realtà dai punti di vista dell’equità, della giustizia e della democrazia (“no taxation without representation”…).
Per chi nasce qua invece non si può e non si dovrebbe parlare di integrazione, per diverse ragioni. Perché la lingua non è un problema, perché la storia, la cultura e le tradizioni verranno apprese nella scuola dell’obbligo e crescendo, come qualsiasi giovane autoctono. Lo stesso vale per chi arriva in Italia da piccolo. Chiedere a questi giovani «siete integrati?» equivale un po’ a chiedere ad un giovane italiano «sei italiano?», con tutte le sfumature sulla qualità/quantità dell’integrazione/italianità. Purtroppo queste domande (soltanto le prime) sono all’ordine del giorno, e pur rimanendo spesso senza risposte hanno l’effetto di produrre “stranieri” anche làddove non ci sono. Ciò si riflette anche su altre questioni, come quelle che hanno portato l’on. Gelmini ad elaborare un “tetto” e poi, messa alle strette, ad escluderne – atto di buonsenso – i figli di immigrati nati in Italia; ma non sappiamo cosa accadrà per quelli arrivati qui da piccoli, che ovviamente non hanno problemi linguistici, e restiamo sgomenti leggendo notizie che parlano di “tetti” anche all’asilo.

Dicono che la cittadinanza non è importante, che abbiamo già tutto, accesso al lavoro, alla scuola, alla sanità. Perché dovremmo pretendere un pezzo di carta così inutile? Soltanto per il gusto di dirci “italiani” – qualcosa che, secondo alcuni, non saremo mai, malgrado il pezzo di carta-?
Davvero abbiamo già tutto? A parte i permessi di soggiorno che rinnoviamo annualmente da studenti universitari o da lavoratori e che alcuni politici considerano l’unico nostro problema, al quale porre rimedio oliando la macchina burocratica, siamo istituzionalmente esclusi da carriere lavorative, da opportunità di studio e ricerca, dal poter muoverci liberamente. Ed il voto per noi non dovrebbe significare niente? Poter dire la nostra su ciò che interessa la nostra vita, il territorio in cui viviamo e l’intero paese, tutto ciò dovrebbe esserci (in)giustamente precluso?La democrazia e l’uguaglianza non fanno parte della cultura-storia-tradizioni italiane che dovremmo far nostre per poter dimostrare di essere ben integrati? (Perdonate il tono polemico della domanda). Eviterò qui di discutere l’aspetto non meno importante del riconoscimento identitario.

Dicono che la cittadinanza è un percorso, e che l’attuale legge va benissimo perché arrivati ai 18 anni i nati in Italia (o meglio, gli atterrati nel lettino dell’ospedale) potranno comunque diventare cittadini. Se per 18 anni si viene catalogati, enumerati, pensati, chiamati come “stranieri”…basterà un pezzo di carta per spazzare via quei lunghi anni di percezione diversa? Inoltre questo percorso è un terno al lotto: se sei informato sul come richiedere la cittadinanza, se lo fai entro i dodici mesi di tempo, se hai tutti i requisiti allora potresti diventare italiano a tutti gli effetti, altrimenti benvenuto nel mondo della precarietà dello status giuridico.

Dicono che se ci danno la cittadinanza poi non saremo più espellibili…
Insomma, grazie per la sincerità…
Dicono anche che potremmo diventare tutti terroristi e diventare un pericolo per il paese (riporto soltanto uno e due dei tanti casi di terrore dispensato quotidianamente, per non parlare del piccolo schermo)…ma qui sto già parlando di coloro che hanno abdicato all’intelligenza ed alla ragionevolezza. Eviterò qui di soffermarmi su cotesti mercanti della paura.

Quindi ne riparleremo dopo le regionali, elezioni per le quali molti di noi – come il sottoscritto – non potranno votare.
Finiti i giochi politici speriamo che si torni a discutere seriamente del futuro del paese, che passa necessariamente da leggi come quella sulla cittadinanza. Nel frattempo non dobbiamo restare a guardare: continuiamo ad informare, a discuterne, dai nostri comuni fino ai luoghi di lavoro, nelle università, nel mondo delle associazioni ed ovviamente su internet, leggendo e commentando, diffondendo e criticando.

P.S.: Per chi si fosse perso le ultime puntate, qui trovate il video del dibattito (interessantissimo!) sulla cittadinanza alla Camera dei Deputati del 22/12/09, mentre qui trovate articoli con gli ultimi sviluppi.

24 Ottobre @ Arezzo CitTy! Seminario progetto di G2 nelle scuole

Locandina Seminario 24 Ottobre
Programma

09:30 Saluti delle autorità

Relazione introduttiva – Enzo Colombo (sociologo)

Presentazione dei risultati del progetto.

Video – presentato da Mariana Ferrato della RETE G2

RETE G2 – presentata da Mohamed Abdalla Tailmoun

Testimonianze

Le politiche

Relazioni di

Alessandro Lombardi – Dirigente della Divisione I della Direzione Generale Immigrazione del Ministero del lavoro.

Aurora Rossi – Assessora alle politiche per l’integrazione del comune di Arezzo.

Coordina Lorenzo Luatti – Centro di Documentazione di Arezzo.

Ore 13:00 RINFRESCO

Alcune Immagini dell’evento, visualizzabili da questo link

Evento finale Arezzo CitTy

Immagini evento finale Arezzo CitTy

Immagini evento finale Arezzo CitTy

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