so che non è esattamente argomento del forum, ma in questi giorni la mia attenzione è stata chiamata dalle violente reazioni delle persone della borgata cui apparteneva Vanessa Russo, la ragazza che è stata uccisa la scorsa settimana da una ragazza casualmente rumena.
mi permetto di postare un articolo, pubblicato oggi venerdì 04/05/2007 in prima pagina da "La Stampa" che mi ha fatto tirare un respiro di sollievo.
infatti ho trovato tragica non la vicenda in sè e per sè (oddio, di sicuro non è stato niente divertente), e nemmeno le reazioni della comunità, quanto l'avvallo dato a tali reazioni da stampa e istituzioni. questo articolo finalmente mi aiuta a riprendere contatto con un mondo che ogni tanto temo perduto in sè stesso e nella propria ottusità.
La borgata da Pasolini a Vanessa
FABRIZIO RONDOLINO
I funerali di Vanessa Russo nella parrocchia di Santa Felicita e figli Martiri, nel cuore della Borgata Fidene, a Roma, non sono stati l’espressione estrema di «una comunità ferita e sofferente» (così il governatore Marrazzo, in uno sforzo politically correct di comprensione). Sono stati invece una manifestazione raccapricciante della barbarie in cui è sprofondato il nostro Paese. La borgata pasoliniana, scrigno prezioso di una purezza perduta e di un universo di valori insidiato dall’urbanizzazione neocapitalistica, se mai è stata tale oggi è diventata il luogo emblematico dell’orrore quotidiano, della sua banalità benpensante, e del suo ambiguo successo mediatico.
«Vergognatevi, assassini!», ha urlato la folla all’arrivo del governatore e del vicesindaco. E poi: «Immigrati assassini!», «Mandateli via!», «Pena di morte!». Quando dal pulpito è risuonata la parola «perdono», la madre e il fratello della vittima hanno urlato: «No, mai!», e la chiesa è esplosa in un applauso tribale.
Le cronache riportano altre dichiarazioni di amici e famigliari: «Linciamo le romene!», «Dovevano lasciarle a noi, le avremmo fatte a pezzi!», e così via, in un crescendo impressionante di violenza verbale. «Un set, più che una chiesa», ha scritto il Corriere: decine, infatti, i cameramen lungo la navata e intorno all’altare, senza che nessuno chiedesse loro di uscire o impedisse di entrare, come se quell’improvvisa ribalta mediatica non andasse sciupata, come se anche il funerale di una povera ragazza di borgata dovesse diventare un programma di Maria De Filippi, con le urla e gli insulti e le lacrime a favore di telecamera.
In questa violenza sorda e senz’appello, irragionevole perché sragionata, c’è il segno più esplicito di un fallimento, di una tragica sconfitta culturale prima che sociale: il mondo di Fidene (un mondo, ha raccontato Marco Lodoli, tutt’altro che degradato, e che anzi ha trovato «la sua piccola forma di benessere e di organizzazione») si fonda, emblematicamente, sull’arroganza e sulla xenofobia, sul qualunquismo e sul vittimismo, e proprio in nome di questi «valori» condivisi esibisce la propria «sete di giustizia».
Paradossalmente, e tanto più tragicamente, la stessa morte di Vanessa sembra trovare la sua origine più nella vistosa maleducazione della vittima che nella (indimostrata) ferocia dell’assassina. La testimonianza di S.S., che era sul vagone con le tre ragazze e con loro è scesa a Termini, è chiarissima: Doina perde l’equilibrio per una frenata, Vanessa grida: «Ma che **** mi spingi...», le romene non rispondono e scendono con Vanessa. Prosegue S.S.: «Faccio presente che non ho sentito altri battibecchi fra le tre ragazze ma, fatti pochissimi metri (Vanessa) ha spinto una delle due ragazze che ha reagito colpendola con un ombrello all’altezza del viso». Un capriccio del destino ha dunque trasformato un gesto di maleducazione quotidiana in una tragedia, e un’ombrellata in un omicidio.
Ma è proprio sulla maleducazione che bisognerebbe riflettere, anziché sul destino: non foss’altro perché soltanto la prima è in nostro potere. La vita nelle metropoli italiane si è fatta insopportabile non per l’inquinamento o il traffico o il rumore, ma per la maleducazione degli italiani. Cioè per quella miscela oramai irrespirabile di arroganza e menefreghismo, vittimismo e furbizia, che scandisce la nostra vita feriale per trasformarsi senza soluzione di continuità, nei giorni di festa, in teppismo da stadio o violenza xenofoba. La pancia dell’Italia è infetta e maleodorante: su questo dovrebbe misurarsi (e andrebbe misurata) la nostra classe dirigente.
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