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MessaggioInviato: 14 gen 2008, 17:33 
Extra terrona
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Da L'Unità del 14 genn. 2008

Mamme e bimbi soli Qualcuno pensa a loro

Roma - Al telefono risponde una voce giovane: «Per abbandoni di neonati chiamare il numero verde...». Per tutto il resto ci sono loro. Per chi il suo bimbo vuole tenerselo, per le emergenze, per piccole vite da clandestini, per notti in strada e pomeriggi in tribunale. Guidati da tre codici: bianco uguale povero semplice, giallo povero a rischio, rosso siamo nei guai. Senza mai dimenticare che si ha a che fare con persone. L’associazione «Diritti Civili Salvamamma-Salvabebè» è un meccanismo a ciclo continuo che si nutre dei pacchi-dono di 2500 famiglie italiane e nutre 2mila donne di 69 nazionalità. Tra questi due estremi della modernità occidentale c’è l’attivismo di lei: Grazia Passeri, 53 anni, piccola e bionda, vestita di nero, occhi mai fermi dietro la montatura rossa. Ex radicale, la presidentessa dell’associazione farebbe patti «anche con Belzebù» per tenere in piedi il suo loft-magazzino-crocevia di incontri e scambi. 500 metri quadrati alla Balduina, quartiere bene di Roma (Via Attilio Friggeri 57, tel. 06-35403823). Si occupa di donne, si è detto: in realtà di famiglie. Donne sole con figli, abbandonate dal compagno o con mezza famiglia nel paese d’origine, ma anche ragazzi padri. Famiglie del 2008, moderne, multietniche, in difficoltà. «Va a portare vestitini?» chiede il tassista. Il posto lo conoscono tutti. Dalla coppia che ha portato i due figli «a vedere dove finiscono le loro cose» ai poliziotti di quartiere che a fine turno bussano alle porte di chi fatica a portare pesi. Dietro la serranda c’è sempre qualcuno. Basta suonare il campanello e si apre un ordinato mondo di necessità: scatole di latte in polvere, omogeneizzati, centinaia di campioncini di creme e detergenti, marsupi, interi scaffali di passeggini piegati, deumidificatori perché «chi vive nei sottoscala ha l’asma». Alle pareti un arcobaleno colorato, stelle filanti e alberi di crinolina. Qua e là cavalli a dondolo, delfini di pelouche, giocattoli rigorosamente con il marchio Ce.

Demba si riempie gli occhi con un camion arancione più grande di lui: «Posso prenderlo?» chiede abbracciandolo. «Noi diamo i giocattoli con parsimonia. Un bambino di 10 anni vuole le biglie, ma se a casa c’è un fratellino diventano pericolose». Demba ha 5 anni e un minuscolo fratello, Baye, che dorme nella carrozzina, ma nessuno osa dire no. Sua madre Magdalen è arrivata dal Senegal tre anni fa, adesso ha deciso di darli in affido entrambi. «Li tiene benissimo - sospira Grazia Passeri - Ma si chiede che futuro può offrirgli. Speriamo di riuscire ad aiutarla. È terribile dare ad altri un figlio per povertà: quando lo fanno, poi li rivogliono disperatamente». Le mamme seguite nel 2007 sono state quasi 2mila: il 20% italiane, il resto straniere (28% sudamericane, 22% est-europee, 15% africane). Meno di 900 avevano il permesso di soggiorno, ma per molte era temporaneo: fino a sei mesi dopo il parto, poi si ritrovano clandestine con un piccolo da mantenere. Il 37% sono state abbandonate dal compagno prima o dopo la nascita del figlio. Un terzo dei partner erano italiani che non hanno riconosciuto i figli impedendo che possano avere la cittadinanza italiana e disinteressandosi delle loro sorti. Una ragazza centroafricana, bella e colta, riceve sms di insulti dall’uomo che l’ha messa incinta: «Sono terribili. Le scrive “scimmia” e “bestiola” - racconta la Passeri - Le ho consigliato di tenerli per eventuali azioni legali».

L’associazione fornisce consulenza legale: contro le violenze, per il riconoscimento di paternità mediante test del Dna. «Ci sono tante vicende e violentissime. L’uomo reagisce con furia: “Tu mi rovini economicamente, io mi prendo il bambino e la faccio pagare a lui”.
Anche uomini ricchi e di ottima famiglia». Ci sono anche cause di sfratto, più difficili da vincere: «C’è un’emergenza abitazioni che nessuno vede. Nessuno affitta a famiglie con tanti bambini. Con meno di 900 euro è impossibile trovare un buco». La storia di Alessandra, 30enne ecuadoregna, è esemplare e terribile: la sua è una famiglia mista, ha conosciuto qui il marito pakistano, hanno una bimba di 3 anni, Aisha. Da nove mesi aveva un impiego in una tintoria, a Natale Aisha ha avuto la polmonite, lei si è assentata per una settimana avvisando ed è tornata con il certificato medico. Inutilmente: «Domani non venire. Non abbiamo più bisogno di te». Si è trovata disoccupata, il datore di lavoro ha casualmente dimenticato di versarle la paga di dicembre. Suo marito lavora come aiuto cuoco, ma pagano 1000 euro al mese per un monolocale a Scalo San Lorenzo affittato da un avvocato che ogni anno rinegozia il contratto. Alessandra è qui per una giacca, guantini, berretti: «In questi giorni fa molto freddo» sussurra. È seduta alla scrivania di Grazia Passeri, sotto scodinzola la cagnolina Edy, trovatella bianconera. Accanto, ascolta una coppia italiana: Gianluca, 35 anni, Annamaria, 39, una figlia di 13 mesi, zero lavoro e zero casa. «Facevo la guardia giurata - racconta lui - Dopo un anno mi hanno licenziato per assumere dei nuovi, intanto ho perso 20 anni di anzianità al collocamento». Vivono dai genitori, hanno bussato alle porte delle istituzioni. Invano: «Ci hanno detto: non abbiamo fondi, ripassate l’anno prossimo. Però ci siamo voluti sposare lo stesso».

Salvamamma Salvabebè è diviso in tre aree (una parte è di proprietà, il resto costa 4mila euro mensili di affitto). All’accoglienza c’è sempre una task force operativa: con Katia Pacelli, giovane braccio destro del capo, una psicoterapeuta e una puericultrice. Nell’angolo medico prestano assistenza due ex primari di pediatria in pensione. «Le uniche stipendiate sono le psicologhe: per le emergenze serve continuità. Se uno ha bisogno di aiuto perché vuole buttarsi dalla finestra non possiamo dirgli che chi lo segue è al mare». Poi ci sono un centinaio di volontari formati che danno una mano: smistano, piegano, stirano, fanno le lavatrici, scaricano quintali di pacchi dai camion, tengono il polso di 30mila consegne. Solo merce nuova o in ottimo stato: «Queste donne hanno diritto a un po’ di felicità. Una bambina ha voluto il vestitino bianco per la prima comunione. Ognuno ha i suoi sogni, facciamo quel che possiamo». Al piano di sotto c’è il magazzino dove giacciono, ordinatamente stipati in cassetti rosa e azzurri, indumenti e accessori, le copertine sferruzzate da un pool di «nonne». Accanto il locale per feste e corsi. Sui divani rossi con cuscini a cuore i bambini hanno festeggiato la Befana tra pandori e bibite; sulle seggioline ora impilate le mamme imparano il minimo necessario su parto, contraccezione, vaccinazioni. Un gruppo di peruviane aspetta il proprio turno chiacchierando. Delma ha bisogno di latte e pannolini: dopo tre figli adolescenti, ne ha uno di 4 mesi. Suo marito è portiere a Vigna Clara, lei va a ore ma i soldi non bastano. Katiuska è al quinto mese di gravidanza, la sua famiglia vive una diaspora: il marito è giardiniere in Cile con la figlia di 10 anni, lei punta al ricongiungimento: «In Italia una femmina trova subito da lavorare». Si offre come badante per qualcuno che accolga anche il bimbo. Come Doris, mamma di Walter da quasi un mese, “parcheggiata” in un pensionato di suore. «A volte un bambino in casa fa bene al ménage. C’è una signora anziana e un po’ triste che prenderebbe una ragazza tranquilla con bebè - ragiona la Passeri - Chissà se anche incinta...». Abiti in miniatura pendono da fili appesi al soffitto. «Posso prenderlo?» una giovane filippina palpa una giacchetta. «È troppo leggero, non va bene per questa stagione» la
convince una volontaria. Arriva un pacco da Pisa: dentro, 4 pacchi di pannolini e uno di latte in polvere Coop. Ne arrivano dagli immigrati italiani in Germania, ne partono per Guidonia, Milano, la Calabria che manda molte richieste d’aiuto. Alcuni comuni convenzionati accettano di pagare le spese postali: Arsoli nel Lazio, Casalecchio nel Bolognese. «Da pochi mesi abbiamo ceduto e accettiamo donazioni in denaro - dice Grazia Passeri, come se ammettesse una sconfitta - Qui è difficile far quadrare tutto». È complicata anche la burocrazia interna, ma necessaria: a ogni persona corrisponde una scheda con quello che è stato fatto e dato. Norma anti-furbi: «Chi non capisce le regole, mente o tira la corda viene aiutato ma non è di casa. Sono pochissimi però». I fronti aperti sono molti. Dal latte gratis al parto anonimo. La Regione Lazio contribuisce con 200mila euro: «Mi ha chiamato Marrazzo, aveva saputo del lavoro che porto avanti» racconta Passeri. La Provincia di Roma guidata da Gasbarra finanzia lo sportello Salvamamma all’ospedale San Camillo. Consulenze, emergenze: «Sapete che significa curare il maldipancino allungando il latte con il maalox?»

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Figli «clandestini» di un padre italiano che non li riconosce
f.fan.
1- PICCOLI CLANDESTINI: RICONOSCIMENTO DI PATERNITÀ Su circa 1500 donne straniere seguite dall’associazione, 861 hanno il permesso di soggiorno temporaneo: legato alla gravidanza e valido fino ai sei mesi del bambino. E dopo? Tornano nel mondo parallelo di chi non ha diritti, non esiste per la legge dello Stato dove vive, in alcune regioni non ha neppure diritto di andare all’asilo. Tra il marzo 2005 e il settembre 2007 sono state oltre 300 le ragazze madri, abbandonate dal compagno subito prima o dopo la nascita del figlio. Di queste 83 avevano un partner italiano: i bambini sono piccoli clandestini in patria: non essendo stati riconosciuti dal padre, non possono diventare cittadini italiani. Da noi, infatti, non esiste lo ius soli. Gli avvocati di Salvamamma fanno quello che possono per rimediare a questa situazione. Anche preparare cause di riconoscimento giudiziario di paternità chiedendo il test del Dna. Non è facile: gli uomini possono diventare violenti, rivalersi sul bambino per i «soldi che costa». Più spesso diventano irreperibili. Aiutati dalle famiglie che non apprezzano una quasi-nuora “esotica”, e nell’attesa che il bambinone metta su famiglia con una connazionale, lasciano per strada la famiglia che ha già.
Il diritto alla poppata. «Ho visto neonati senza mangiare da tre giorni...»
f.fan.

2- DIRITTO DI POPPATA LE QUOTE LATTE «Un neonato che non riceva abbastanza latte cresce storto». Da questa semplice verità nasce il progetto «diritto di poppata» che Salvamamma Salvabebè ha avviato nel 2008 con la collaborazione del gruppo Mercurio (supermercati Sidis). Latte gratis da zero a sei mesi a tutti i bambini che, non potrebbero averlo in un altro modo. Perché le loro mamme non possono allattare e non hanno i soldi per conprarlo. Il latte in polvere è carissimo: in farmacia le confezioni da 8-900 grammi costano, in media, tra i 15 e i 20 euro. Le quote latte sono subordinate alla presentazione di certificato medico (Asl) attestante che la donna non produce latte materno e alla certificazione del Comune o della Caritas dell’assenza di reddito. A quel punto si entra nel «diritto di poppata». «Ho visto bambini di tre mesi che non prendevano latte da tre giorni - si sfoga Grazia Passeri - Mamme che, in assenza di latte, cercavano di sostituirlo con succhi di frutta, camomilla zuccherata, acqua di riso. I risultati sono disastrosi oltre che molto pericolosi».
Il progetto prevede anche il recupero di latte materno in sovrappiù presso lo Sportello all’ospedale San Camillo-Forlanini.
Le informazioni per partorire mantenendo l’anonimato
f.fan.

3- PARTO ANONIMO Attivo da cinque anni, operativo 24 ore su 24, in colaborazione con il reparto di patologia neonatale del Policlinico Umberto I, il numero verde 800283110 (solo da cellulare) informa sulla possibilità per le donne che non possono o non vogliono tenere il bambino di partorire negli ospedali pubblici scegliendo l’anonimato. È stato istituito nell’intento di prevenire parti in casa con successivo disfacimento del neonato. Il numero verde raccoglie anche le segnalazioni di abbandono di neonati attivando, se necessario, un’ambulanza con culletta termica e personale specializzato. La possibilità del parto anonimo mira a prevenire l’infanticidio. Obiettivo: far diventare storia del passato i bambini lasciati nei cassonetti. Alla madre viene garantito che il suo nome non comparirà su nessun certificato, mentre per il neonato si apre l’iter normale di adozione. Secondo Grazia Passeri però c’è ancora molto da fare, e annuncia che sta preparando un esposto sul tema: «In Italia sono solo 300 l’anno i parti anonimi. C’è ancora poca informazione e una resistenza culturale. In molti ospedali viene fatta una sorta di guerra psicologica per convincere le donne a tenere il bambino. Intendiamoci: lo fanno con buone intenzioni, ma ricordiamoci di che cosa è lastricata la strada dell’inferno...».


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MessaggioInviato: 14 gen 2008, 20:04 
Sergente di ferro
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Località: Roma
Impazzisco letteralmente quando ci vanno di mezzo i bambini.
Se hanno un sito sarebbe forse opportuno mettere il link sul blog.


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MessaggioInviato: 15 gen 2008, 17:17 
Extra terrona
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Iscritto il: 03 lug 2006, 13:44
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Località: roma
Mettiamolo qui il link al progetto:

http://www.fondazionenuovaitalia.org/at ... vabebe.php


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